“Pur sfilacciandosi, il mondo rimane sempre un tessuto
fatto di leggi, che a volte sembra impenetrabile,
oppure sembra come se la rete fitta delle relazioni si illuminasse
per un solo istante come fili della ragnatela nella luce mattutina:
e i fili sono legati tutti
in un angolo diverso del tempo.”
Poesie scelte di Krisztina Tóth
Presentare in italiano le poesie di Krisztina Tóth, come generalmente presentare poesie in lingua straniera, é una sfida folle. Sfida folle, contrastata e sconfitta. Eppure le sue poesie ci incantano, ci conducono in labirinti interni dove ci piace perderci, pur essendo consapevoli di non poter trasmettere questa sensazione di essere persi e nascosti davanti a noi stessi in un’altra lingua. La traduzione poetica e un’impresa selvaggia, percorsa dagli appassionati, dagli innamorati. Cosi, con questa passione e con questo innamoramento che i membri dell’Officina di Traduzione dell’Accademia d’Ungheria in Roma si sono trovati insieme per avventurarsi insieme in questo labirinto, e hanno cercato di diventare lettori attivi di una delle voci piu promettenti dello scenario poetico della vita letteraria ungherese contemporanea.
Nata a Budapest, Krisztina Tóth ha scritto il suo primo volume intitolato „Sventolare il cappotto d’autunno” (Őszi kabátlobogás), nel 1989, riconosciuto subito con il premio „Radnóti Miklós”. Tra il 1990 e il 1992 ha trascorso due anni a Parigi con una borsa di studio, durante questo periodo si e occupata di varie traduzioni della poesia francese contemporanea. Nel 1992 ha ricevuto la borsa di studio annuale per studi letterari della Fondazione Soros. Nel 1995 e stato pubblicato il volume intitolato „Il filo del discorso” (A beszélgetés fonala), e nel 1996 ha curato un’antologia di poesia francese intitolata „La visita” (Látogatás). Nel 1996 ha ricevuto il premio Graves e il premio „Déry Tibor”, e per le sue traduzioni il premio „Zoltan Attila”. Nel 2000 ha ricevuto il premio „József Attila”. Dopo la pubblicazione del volume „Uomo d’ombra” (Az árnyékember) nel 2001 ha pubblicato anche il volume „Nevischio” (Porhó), che e stato riconosciuto con il premio „Vas István”. Recentemente e stato pubblicato il primo volume di novelle intitolato „Codice Bar” (Vonalkód)
La sfida di tradurre le sue poesie contrastante e tesa come é contrastante e tesa l’attitudine della poetessa con la sua madrelingua. Nel proporre le sue poesie in realta proponiamo l’inaccessibilita del linguaggio poetico, delle poesie e della poesia ungherese in generale. Proponiamo un frammento, e in questo frammento affidiamo alla sensibilita del lettore italiano che possa intuire un universo linguistico diverso, una costruzione e un’interpretazione della realta diversa, ma che é diversa soltanto nel modo e nella forma, ed é eterna e universalmente la stessa per quanto riguarda il nostro comune sguardo sui drammi eterni, sui gesti quotidiani eterni, e sulle soluzioni eternamente umane che tutti noi ci proponiamo in ogni istante.
Traduzioni di
Andrea Rényi
Eszter De Martin
Márton Róth
Monica Panniccia
Monica Savoia
Nóra Pálmai
Sergio Nazzaro
Viktória Sulyok
Officina di traduzione dell’Accademia d’Ungheria in Roma 2005/2006
Pubblicazione realizzata in occasione della menzione speciale per la poesia di Krisztina Tóth
del Premio Letterario “Giuseppe Acerbi” di Castel Goffredo
novembre 2006
Foto di Vera Csorba (in verticale)
Cartina muta
(Vaktérkép)
A mio figlio
Falde cedevoli, volti delle catene montane,
canali del profondo, magma
dell’anima, a che pro
a che pro foreste abbattute, corvi di passaggio,
corsi d’acqua erranti, vivono, decedono
pinguini su lastre di ghiaccio,
scorre la spezzata catena-DNA di nuvole,
la ritirata dell’acque dagli occhi chiusi
a che pro, se non trova
un alveo, invece continua a trascinare il triste
percorso, e ovunque giunge, e guerra,
la morte scava una fossa
con nomi, date di nascita, con un grido
d’amore interrotto non bisogna
piu arruffare
il mondo: citta, destino
ventriloquo, la conca dei ricordi,
linee di congiunzione, vedi
come vagano, neppure uno ha la sua strada,
sempre, sempre le madri partoriscono di nuovo
la condizione degli orfani.
(traduzione di Tomaso Kemeny)
Basta chiudere gli occhi
(Szemhunyás)
Supporre che si sarebbe sistemato
Era un errore, gia
Credere che nello spazio vuoto
La mancanza si sarebbe riscaldata,
che quanto e stato si sarebbe sciolto
e che un altro autunno sarebbe giunto ancora,
che ti avrebbe permesso di andare via
– e anche lui,
guardando nel sole
basso e tondo
ormai chi oserebbe
credere finché nel bagliore
ti confronta e rabbrividisce,
ora e persino imbarazzante,
sarebbe stato meglio
non dire tutte quelle sciocchezze
alla Déryné
lottava anche lui eroicamente
chi ha mai visto cosa piu felice
del tuo sguardo impavido
che in lotta con lui si e scontrato
basta chiudere gli occhi
e vederlo, in piedi la ancora –
avvicinarlo da dietro.
Che non veda che hai corso
L’eco
(Visszhang)
Buon giorno
mattino dagli occhi chiusi
Nel mio corpo immobile
gesticola il sogno.
Lo sento, lo sento.
Chi e quest’uomo della pelle vitrea
che mi
pensa sul letto?
Gioco di frasche ondeggianti
Quale vento alza le tende,
nella sua vita
come ha fatto precipitare tutto?
Come mai nella
casa della luce di un vaso
– lo senti, lo senti?
Non ci sia un’anima dentro?
Il sogno del Minotauro
(A minotaurusz álma)
Mi sei familiare come il movimento lo e al guanto sfilato.
Come le sue dita vuote, ferme sopra il tavolo.
Risuoni in me come la coscienza vigile nel corpo riecheggiante
no, mai, o all’improvviso eppure tanto.
Invece sei familiare come la febbre del debutto serale lo e alla falena.
O il fruscio delle fronde lo e all’acacia amputata sul marciapiede vuoto.
Tunnel circolare, casa priva di occhi e di bocca.
Da dove devo cominciare. Potresti continuare da li?
C’era una volta, c’era la terra di nessuno dell’infanzia.
Tra i cespugli del giardino ricolmo di grida, la notte accidentata.
Poi anche il sogno, la terra di nessuno silenziosa, piena di neve sciolta.
La stagione degli inverni permanenti che gela, disgela, cade, si ricompatta.
Stammi a sentire. Quello che racconto adesso, e pronto dall’inizio anche dentro di te.
E lungo e impraticabile, perche e stato inventato cosi.
Non mi interrompere poi come la mano sospesa nel guanto sfilato.
Sara tortuoso, oscuro come il sogno del Minotauro.
Ode ai cinquantenni
(Óda az ötvenes férfiakhoz)
Dove siete, voi uomini cortesi, innamorati
e dov’e, dov’e la vostra macchina da scrivere:
una volta piena di capelli che cadevano e di forfora
fra i tasti – in quale buio sta scrivendo il vostro cuore
che e alla fine adesso, o e questo silenzio che mormora la fine della strada?
Stavo guardando con le spalle allo specchio
il mio sedere, cosa posso dire, non e quello di una volta,
eppur ti desidero ferocemente, chiunque tu sia,
sei sempre e soltanto tu,
tu mio caro quarantenne che lentamente
diventerai cinquantenne, la tua schiena lo avverte,
stai ingrigendo, e
se sorridi, si vede di sfuggita
che i tuoi canini stanno marcendo.
Le mie mani tremavano quando sei venuto
stavo in cucina a spalmare le fette di pane
Le tue mani tremavano e poi
anche la tua voce al telefono.
Perche sopravvivi in tutti i brutti
spilli di cravatta, in tutta la mia vita
trafitta, in tutti gli amori
vacui, in tutti gli appartamenti,
per tutte le scale, negli odori.
Il cinquantenne come
una foglia di pioppo sulla strada,
un fogliame secco che si infiamma lentamente e brucia con fumo bluastro,
ma risplende segretamente, come il fuoco autunnale in giardino,
ed e partecipe invisibile,
grisu nel sogno.
(Sogni, sogni)
(Álmok, álmok)
1.
Come per un gratta e vinci
sotto la terra raschiata col piede
una data
o un numero di telefono, chi sa
chi era, se nemmeno squilla:
non hai vinto.
2.
Non e uno scarico come credevi
all’inizio, e solo
l’eco, turbina
al posto della sua bocca la frase
vuota, faccia al vento:
lascia perdere.
Tappeto
(Szőnyeg)
J’ai tant revé de toi…
Desnos
Perché nel sogno gli ho promesso di tessere un tappeto
per poi agitarmi nel letto non sapendo da dove cominciare
non te la prendere ti desideravo per questo ho mentito
non ho mai saputo tessere e filare
L’ho immaginato cosi tante volte che ormai non e piu realta
soltanto buio che si dirada e inutilita
non so nemmeno come sia non l’ho mai visto da vicino
immagino solo come si aggrappi il filo al filamento.
Tappeto (Palinodia)
(Szőnyeg)
Possa io essere ombra
cento volte piu intensa
Desnos
Io non so cosa sai o cosa non sai io non so
cosa succede o non succede dopo tutto questo
si ripete ugualmente finché non giungi alla fine
fra cordoni traballanti a mezzanotte e il pomeriggio
Cosi tante volte me ne sono andata sono tornata ho vagato
ma c’e soltanto buio ho visto la nella notte
cosa puo esserci avvolto nel centro piu intimo
motivo di uccello che modula luce nella luce
Penelope
(Penelopé)
Strada smossa e perduta che non finisce mai
non raggiunge mai la riva come una lettera fra le parole
turbinante terra di promesse non adempiute (mantenute) (mantenere una promessa)
si dipana il filo che corre con te
o con te promessa mai adempiuta (mantenuta)
come sara se nemmeno so com’e
stato – e se ho mai avuto un filo fin dove puo arrivare
e se e terminato sara rimasto del tempo – si
Balaton II
Non volevo che fosse autunno ancora una volta
un filo lungo forse dovremmo tenderlo
ho trentatre anni cosa potremmo
fare dici che bisognerebbe tenderlo
ma fin dove mi ami ancora e mi invecchio
come il giardino poco per volta inavvertitamente
solo ora no che la mia testa nel tuo grembo
giace la canna e crollata non ho mai colto
il momento quando muta il tempo
la foglia e anche i tuoi occhi sono color castano
a volte quando l’amore si rivela
con un’onda verde cupo si lancia sulla riva.
andava sempre la di soppiatto, perché lo incuriosiva
molto la fessura tra le pagine,
aspettava che ne uscisse il topo,
(da tanto non c’e piu nemmeno il gatto),
ed e vero, li, in fondo al tunnel
di carta qualcosa si muove sempre:
conserviamo questo e altro tra le pagine,
mettiamo via, pressate, le casualita.
Passeggiata
(Séta)
Ad Ivan Mandy
Colui, che non c’e, e sceso da solo in piazza.
Ha portato fuori l’immondizia.
Fa una breve passeggiata invece di una lettera,
poiché ha preso con sé anche l’ombrello, non torna nemmeno la sera,
non torna, perché e lui ora la sera,
custode del marciapiede lucido, e lui la pioggia.
Un sedile dorme chinato,
come qualcuno al volante appoggiato.
Suono evanescente
(Halkulo futam)
Non ho mai visto i tuoi oggetti.
Le tue camicie sulla sedia la mattina.
Non ho mai visto i contorni
dei tuoi mobili nell’oscurita.
Non un passo verso di te, non appoggiarmi su di te,
corrimano senza scale.
Somnivore
La strada d’inverno durante l’amore
dietro il tuo sguardo la fila di lampioni accesi
e la luce che ricopre il marciapiedi
stare davanti ad un palazzo dove
Il freddo e intenso i cani sono muti
guardi la macchia di piscio gelata nella neve
e provi a buttarci la cicca
se la becchi cosa e come sia ora
Ti direi che non posso amarti
non ho potuto mai nessuno veramente
se entrassi ora nulla succederebbe
perché vi e sempre una via, un’altrove
Che da anni non riesco a dormire
in questo corpo se con le mani
qualcuno l’accarezza gli occhi interiori
alzano lo sguardo comunque nella neve
Se ti bussassi solo perché per un attimo di
la passavo mi siederei nessuna novita
se aprissi gli occhi cadrebbe dal
tuo sguardo tutta la tristezza –
poesie di Krisztina Tóth.