2 poeti polacchi: Krzysztof Karasek e Tomasz Różycki

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Da Elegia di Katyń (Una nota al Nulla):

Sganciato da consuetudini e da cose, tocca le immagini!
Su friabili ombre il sole suona
il ritmo degli anni, folle e delicato
lo slittamento dà slancio alle parole. Danzano i gesti
nel guardaroba degli anni, il vento si trascina
come un cane da caccia, fiuta il silenzio.
Ma è già entrato dentro
un pianeta rosso e blu, bianco
come la notte.

(…)

Più si va verso est,
più forte è l’ululato di un’alba che non c’è
più giù affondano i soli di gesso
nei fossi di aprile.
Più piano, più lente
ringhiano le anse di sangue.
I caprioli se ne sono andati. Gli uccelli volati via da qui.
I pesci sputati fuori sono marciti da dentro,
ciò che ha sbattuto negli sterpi si è ammutolito.
I fragili sogni in bianco e nero di questi luoghi
mendicano una ciotola di memoria.

Da Fuochi di Bengala:

I. Umbra vitae

Non considerare il tutto come l’intero
ma come una parte dell’intero,
torna indietro e guarda alle tue spalle. Il paesaggio
ti si dispone allora in strati, coltri
che nascondono la roccia. Il paesaggio
è fatto di molecole, particelle
che formano un mosaico, un mazzo di carte,
uno spettro. E dunque ancora
come nell’infanzia ogni cosa
è a parte, non si lega con niente.
Persino la lingua si scioglie anziché
ingarbugliarsi in un nodo.

Se vuoi dipingere un quadro
non pensare alle linee e alle forme
che vedi, ma alle macchie e ai colori.
Monet dipingeva spettri.

(…)

L’arte di diventare calvi
Più diventiamo grandi
più il mondo si fa piccolo.
Quando si è soli
si può solo pensare.

Quando non si ha controllo su di sé
si trova guerra dappertutto.
La prova della conoscenza delle cose
di solito è il dubbio.

Che cosa hai fatto oggi. Errori assai,
ma molto importanti.
Non siamo tutti uguali. Ci sono cose
che fruttano dopo tanto tempo.

Il dharma delle campane è suonare,
il dharma del sole è splendere.
Signore, non mi abbandonare ai margini del mondo.
Fa’ che possa vivere secondo le mie leggi.

da “Fuochi di Bengala e altre poesie”, di Krzysztof Karasek

 

 

HOTEL “ELEFANT”

 

Qui tutte le mura sono diventate udito

le finestre ascoltavano la pioggia di autunni e primavere

i tetti sfiorati dal vento e i pavimenti dal fuoco

 

ascoltavi  un canto di qualche secolo fa

hai visto il petto ondulante di Lotte, il sorriso rubino

imploravi un istante del diciannovesimo secolo,

immaginario,

o almeno sognato

 

ma nessuno ti aveva ascoltato, eri l’aria,

un pugno di cenere, una goccia poggiata sulla finestra del paesaggio

che passava attraverso l’occhio

 

di sera scioglievi un canto scuro in un quadro

e di nuovo il bagliore illuminava l’ampiezza dell’altare

 

chiudevi gli occhi davanti alla luce visibile

e davanti al gemito del silenzio

le orecchie.

 

30/4/1990 (1976, Weimar)

p. 38

 

 

 

 

 

DUE FRASI E MEZZO A PROPOSITO DEI VERSI

 

A Zbigniew Herbert per il suo settantesimo compleanno.

 

1

Il verso è la scheggia della luce

che si è conficcata nell’occhio

e guarda – in uno sguardo d’insieme – il mondo

e sé

prima vede la collina

Poi il passero sul ramo, finalmente

il campo calpestato dalla marcia dei soldati

 

infine vede sé stesso

seduto sulla staccionata e la collina

che striscia sopra di lui, e l’esercito che come il grano

si piega sotto la falce

 

 

 

2

La raffigurazione dell’albero è la raffigurazione della pioggia

la raffigurazione della pioggia è quella del fiume

quella del fiume è la raffigurazione di Dio

che è apparso sulla nuvola

e scorre verso il mare

(è la riva del suo corpo).

 

3

Tutto appare attraverso il suo opposto

attraverso cosa appaiono le sembianze?

Attraverso un chiaro contrasto.

 

1985-1994

p. 50

 

 

 

 

 

IL POETA SIEDE SULLA NUVOLA

 

Il poeta si dondola sull’altalena

è bambino

ed è vecchio,

con la testa raggiunge il cielo

con i piedi la terra è

e nello stesso tempo, non è

la mano di qualcuno spinge l’altalena

una volta verso il cielo

un’altra verso l’inferno,

sfrecciano le molli cordicelle

da una parte la luna degli innamorati,

dall’altra il sole della verità

da una parte il cielo della tranquillità

dall’altra l’inferno dei contrasti

steso sull’abisso del dubbio

e della speranza

si dondola dalla mattina alla sera

sulla città

spengono le stelle

e sorge il sole e lui,

nell’immobile pendolo,

vola da un lato dell’abisso

all’altro

sulle ali del tempo

che abita in lui

 

come l’angelo sterminatore

 

10/5/1989

p. 54

 

 

 

 

 

APEIRON

 

In tanti soffrirono l’apocalisse

di loro sono rimaste

le scritte nei cessi sulle pareti

o sull’abecedario

Olka è una sorca

oppure mi sono fatto Jolka

e le loro voci si sono trasformate in parole

dalla lontananza ctonia

giunge il picchiettio dei loro sandali

Il fruscio delle foglie, il sussurro del vento

sono l’uccello sul ramo

l’eco la luce

guarda dalla finestra e forse vedrai

i loro occhi palpitanti

appesi nello spazio infinito

– lo aveva visto van Gogh –

come tremano nell’oscurità del mondo

 

15/4/1992

p. 19

 

 

 

 

 

DUNQUE DI NUOVO

 

Sono cominciati i ritorni,

il tavolo negli anelli del legno,

i rami nelle foglie, le piume

nelle ali dell’uccello; la crescita dell’ala nel cielo

il fiume che torna alla fonte,

il coltello nella fodera, l’immagine nella pupilla,

l’immaginazione è come un animale ferito

tendo l’arco e lascio la corda,

la freccia corre

contro l’oscurità, trapassa

la sottile lamina di pelle, essa stessa

diventa corpo

di un animale nel salto, diventa foglia,

diventa uccello,

diventa ramo – ritorna alla fonte,

di nuovo mi nascondo in me stesso,

apro l’occhio e divento cielo,

mi sollevo in alto, sono un inno, sono nuvola, sono pioggia,

sono un’anima che si solleva, che cade,

che si solleva di nuovo

trapassa la cupola del cielo

e si scioglie nel soffice bagliore del primo mattino.

 

15 novembre 1999

p. 61

 

I testi sono tratti dalla raccolta Święty związek (“Sacro legame”), Breslavia 1997

 

(trad. Lorenzo Pompeo – tutti i diritti riservati)

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È un buco al margine del cielo tra le nubi.
Se ti alzi per guardare da vicino
puoi vedere per un attimo quel mondo
la città, il plumbeo fiume, quella gente

nella stanza. Ma che vorranno dire quelle carte,
quel casino, quel caffè e quelle cicche sul tavolo?
Chi è mai quella donna che ti imita nel corpo
così bene e quell’uomo accanto a lei

che mi fa il verso? Cos’è quel confuso guardare,
quel vestirsi febbrile, quei capelli arruffati
e quel tremito leggero nella mano?
quel muto cenno delle labbra verso noi

quel parlare improvviso, quel chiamare?
E quel dito enorme nel momento decisivo
che lo chiude?

Sporca vigilia di primavera in una sporca città,
come se la nebbia avesse riscoperto strade e pergolati. È
una notte particolare: ho parlato a lungo con il sogno,
il sogno ha parlato con me in triplice lingua,

mi ha portato in alto e mi ha mostrato la città,
un labirinto con al centro una bestia. Nei casermoni
dormono già, dalla bocca aperta si affaccia l’anima,
un’acre nube di vodka. Nei condomini dormono,

i bambini si mettono in viaggio, le donne aspettano
i loro mariti, dalla bocca aperta hanno accesso
il diavolo e Dio, anche l’amore nasce dalla bocca,
la morte vi entra quieta come un gas tossico,

col respiro esce l’anima e gira a tentoni
nei corridoi, toglie ragnatele dai muri. Questo
sarà tuo, ha detto e se ne è andato. Apro gli occhi
e taccio, taccio, nella bocca tengo un filo.

Se è per amore, ci verrà perdonato,
resteranno dopo di noi letti sfatti e città
iniziate, tende schiuse, oggetti appena
sfiorati e un po’ di stoviglie sporche. Se è per amore,

non resterà dopo di noi il vuoto, c’è una tale innata
discordanza grammaticale, il vuoto non può abitare
in luoghi segnati dai nostri corpi, usciranno
da essi piuttosto bambini, paesi e tutti i colori.

Se è per amore, dalla nostra parte ci saranno animali,
cani abbandonati. Loro ci perdoneranno l’immobilità
e lo sguardo perso in qualche punto in noi. Saremo sdraiati
e ci cammineranno sopra giorni e correnti. Costruiranno su di noi

una città e liberi elettroni si affolleranno su di noi, ronzeranno,
e i sogni, i sogni saranno nostri per sempre

da “Antimondo”, di Tomasz Różycki

 

 

Marzo, la stagione del regno dei grassi venti
da oltre l’Oder. Risuonano tra gli ontani e i cespugli
le divinità germaniche. Un po’ dormo, un po’ leggo,
ma continuo a rinviare la fine a domani, al giorno

in cui verrà la primavera e getterà una torcia in mezzo
ai miei sogni. Un po’ dormo e un po’ cammino nel sonno
lungo il fiume e cerco di vedere se già quella barca è
approdata alle sponde sbavate dalla nebbia. Già?

È infantile, è weltschmerz, un chicco di sale
sul fondo di cenere della città bruciata, che
porto in una scatola di cerini. Non farti ingannare
dai venti, ché ti prendono, ti portano via e ti gettano

da qualche parte nei boschi, tra i grugniti di floride teutoniche,
tra le urla dei gufi. Sono qua da molto, un po’
dormo e leggo. Non te l’ho detto, ma
spesso mi sveglio in questa barca vuota, in mezzo

al fiume, e ti cerco con lo sguardo sulla riva, tra la nebbia.

 

 

Mappe false

Lungo volo senza radar. Portato
su una nuvola in un posto remoto
atterra sul confine dei tre mondi.
La notte tocca il ghiacciaio alpino

poggia la lingua in seno al Jungfrau
e un fiume verde che scorre in città
gli parla e schiuma. Dei tre mondi due
li conosce, il terzo è nella nebbia,

chiuso nel tuo medaglione, nella muffa
dentro la noce. Controlla ogni giorno
con la lingua il destino di chi dorme
in fondo al fiume verde, fa il turista,

l’appassionato d’arte, compra mappe,
vi cerca un luogo, un refuso, un paese falso.

 

maggio 2005

Da: Colonie (2006) di Tomasz Różycki

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8 thoughts on “2 poeti polacchi: Krzysztof Karasek e Tomasz Różycki

  1. infatti se leggi bene si parla della raccolta “Sacro legame”…..se hai da segnalare i traduttori delle altre, ben venga 🙂 grazie, a presto.

    Antonio B.

  2. C’è scritto sui libri: Leonardo Masi. A parte quella che inizia con “Se è per amore, ci verrà perdonato…” che si intitola “Secondo Ipotico” ed è tradotta da Alessandro Ajres. Sennò fa un po’ strano quel “tutti i diritti riservati” per traduzioni non edite e nessuna menzione per traduzioni edite. Comunque grazie per la diffusione di questi due autori! 🙂

  3. Ah ecco. Non possiedo libri dei due ahimè …ho preso questi testi da internet, e non riportavano altre fonti, grazie per la precisazione. Di Karasek, che mi piace di più come autore da quel che ho letto, vorrei prendere, appena il soldo permette, un libro edito da Il ponte del sale…se hai qualche altro libro edito in Italia dei due da segnalare, mi fai un piacere. Grazie mille a te per la precisazione, un saluto

    Antonio

  4. ah non avevo capito che eri tu il traduttore col ponte del sale!! pensa te…scusami ma sto “nell’aria” ultimamente…grazie per la segnalazione, come ti dicevo credo si riferisse all’ultimo testo la traduzione di Lorenzo Pompeo, delle altre non riportava niente…ora sappiamo a chi dobbiamo dire grazie allora! 🙂 Ciao

    A presto

    Antonio

  5. Różycki mi ha colpito al cuore. Certo ha una poesia lieve nell’uso delle immagini e intensa nel contenuto, ma bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare: evidentemente al traduttore va molta parte del merito 😉 . Ho cercato libri di quest’autore polacco e ne ho trovato uno, Antimondo Appena posso lo acquisto (ne ho tanti nella lista dei desideri!).
    Buona giornata, Antonio !

  6. Ciao. Esatto, il libro lo trovi dalle edizioni della meridiana, se non erro. Il curatore delle traduzioni è Leonardo Masi (che, come vedi, ha commentato questo articolo). Io ho una preferenza per l’altro autore Karasek, ma Rozycki anche, è un grande autore, senza dubbio. a presto, grazie!

    Antonio

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