Da Elegia di Katyń (Una nota al Nulla):
Sganciato da consuetudini e da cose, tocca le immagini!
Su friabili ombre il sole suona
il ritmo degli anni, folle e delicato
lo slittamento dà slancio alle parole. Danzano i gesti
nel guardaroba degli anni, il vento si trascina
come un cane da caccia, fiuta il silenzio.
Ma è già entrato dentro
un pianeta rosso e blu, bianco
come la notte.
(…)
—
Più si va verso est,
più forte è l’ululato di un’alba che non c’è
più giù affondano i soli di gesso
nei fossi di aprile.
Più piano, più lente
ringhiano le anse di sangue.
I caprioli se ne sono andati. Gli uccelli volati via da qui.
I pesci sputati fuori sono marciti da dentro,
ciò che ha sbattuto negli sterpi si è ammutolito.
I fragili sogni in bianco e nero di questi luoghi
mendicano una ciotola di memoria.
Da Fuochi di Bengala:
I. Umbra vitae
Non considerare il tutto come l’intero
ma come una parte dell’intero,
torna indietro e guarda alle tue spalle. Il paesaggio
ti si dispone allora in strati, coltri
che nascondono la roccia. Il paesaggio
è fatto di molecole, particelle
che formano un mosaico, un mazzo di carte,
uno spettro. E dunque ancora
come nell’infanzia ogni cosa
è a parte, non si lega con niente.
Persino la lingua si scioglie anziché
ingarbugliarsi in un nodo.
Se vuoi dipingere un quadro
non pensare alle linee e alle forme
che vedi, ma alle macchie e ai colori.
Monet dipingeva spettri.
(…)
L’arte di diventare calvi
Più diventiamo grandi
più il mondo si fa piccolo.
Quando si è soli
si può solo pensare.
Quando non si ha controllo su di sé
si trova guerra dappertutto.
La prova della conoscenza delle cose
di solito è il dubbio.
Che cosa hai fatto oggi. Errori assai,
ma molto importanti.
Non siamo tutti uguali. Ci sono cose
che fruttano dopo tanto tempo.
Il dharma delle campane è suonare,
il dharma del sole è splendere.
Signore, non mi abbandonare ai margini del mondo.
Fa’ che possa vivere secondo le mie leggi.
da “Fuochi di Bengala e altre poesie”, di Krzysztof Karasek
HOTEL “ELEFANT”
Qui tutte le mura sono diventate udito
le finestre ascoltavano la pioggia di autunni e primavere
i tetti sfiorati dal vento e i pavimenti dal fuoco
ascoltavi un canto di qualche secolo fa
hai visto il petto ondulante di Lotte, il sorriso rubino
imploravi un istante del diciannovesimo secolo,
immaginario,
o almeno sognato
ma nessuno ti aveva ascoltato, eri l’aria,
un pugno di cenere, una goccia poggiata sulla finestra del paesaggio
che passava attraverso l’occhio
di sera scioglievi un canto scuro in un quadro
e di nuovo il bagliore illuminava l’ampiezza dell’altare
chiudevi gli occhi davanti alla luce visibile
e davanti al gemito del silenzio
le orecchie.
30/4/1990 (1976, Weimar)
p. 38
DUE FRASI E MEZZO A PROPOSITO DEI VERSI
A Zbigniew Herbert per il suo settantesimo compleanno.
1
Il verso è la scheggia della luce
che si è conficcata nell’occhio
e guarda – in uno sguardo d’insieme – il mondo
e sé
prima vede la collina
Poi il passero sul ramo, finalmente
il campo calpestato dalla marcia dei soldati
infine vede sé stesso
seduto sulla staccionata e la collina
che striscia sopra di lui, e l’esercito che come il grano
si piega sotto la falce
2
La raffigurazione dell’albero è la raffigurazione della pioggia
la raffigurazione della pioggia è quella del fiume
quella del fiume è la raffigurazione di Dio
che è apparso sulla nuvola
e scorre verso il mare
(è la riva del suo corpo).
3
Tutto appare attraverso il suo opposto
attraverso cosa appaiono le sembianze?
Attraverso un chiaro contrasto.
1985-1994
p. 50
IL POETA SIEDE SULLA NUVOLA
Il poeta si dondola sull’altalena
è bambino
ed è vecchio,
con la testa raggiunge il cielo
con i piedi la terra è
e nello stesso tempo, non è
la mano di qualcuno spinge l’altalena
una volta verso il cielo
un’altra verso l’inferno,
sfrecciano le molli cordicelle
da una parte la luna degli innamorati,
dall’altra il sole della verità
da una parte il cielo della tranquillità
dall’altra l’inferno dei contrasti
steso sull’abisso del dubbio
e della speranza
si dondola dalla mattina alla sera
sulla città
spengono le stelle
e sorge il sole e lui,
nell’immobile pendolo,
vola da un lato dell’abisso
all’altro
sulle ali del tempo
che abita in lui
come l’angelo sterminatore
10/5/1989
p. 54
APEIRON
In tanti soffrirono l’apocalisse
di loro sono rimaste
le scritte nei cessi sulle pareti
o sull’abecedario
Olka è una sorca
oppure mi sono fatto Jolka
e le loro voci si sono trasformate in parole
dalla lontananza ctonia
giunge il picchiettio dei loro sandali
Il fruscio delle foglie, il sussurro del vento
sono l’uccello sul ramo
l’eco la luce
guarda dalla finestra e forse vedrai
i loro occhi palpitanti
appesi nello spazio infinito
– lo aveva visto van Gogh –
come tremano nell’oscurità del mondo
15/4/1992
p. 19
DUNQUE DI NUOVO
Sono cominciati i ritorni,
il tavolo negli anelli del legno,
i rami nelle foglie, le piume
nelle ali dell’uccello; la crescita dell’ala nel cielo
il fiume che torna alla fonte,
il coltello nella fodera, l’immagine nella pupilla,
l’immaginazione è come un animale ferito
tendo l’arco e lascio la corda,
la freccia corre
contro l’oscurità, trapassa
la sottile lamina di pelle, essa stessa
diventa corpo
di un animale nel salto, diventa foglia,
diventa uccello,
diventa ramo – ritorna alla fonte,
di nuovo mi nascondo in me stesso,
apro l’occhio e divento cielo,
mi sollevo in alto, sono un inno, sono nuvola, sono pioggia,
sono un’anima che si solleva, che cade,
che si solleva di nuovo
trapassa la cupola del cielo
e si scioglie nel soffice bagliore del primo mattino.
15 novembre 1999
p. 61
I testi sono tratti dalla raccolta Święty związek (“Sacro legame”), Breslavia 1997
(trad. Lorenzo Pompeo – tutti i diritti riservati)
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È un buco al margine del cielo tra le nubi.
Se ti alzi per guardare da vicino
puoi vedere per un attimo quel mondo
la città, il plumbeo fiume, quella gente
nella stanza. Ma che vorranno dire quelle carte,
quel casino, quel caffè e quelle cicche sul tavolo?
Chi è mai quella donna che ti imita nel corpo
così bene e quell’uomo accanto a lei
che mi fa il verso? Cos’è quel confuso guardare,
quel vestirsi febbrile, quei capelli arruffati
e quel tremito leggero nella mano?
quel muto cenno delle labbra verso noi
quel parlare improvviso, quel chiamare?
E quel dito enorme nel momento decisivo
che lo chiude?
—
Sporca vigilia di primavera in una sporca città,
come se la nebbia avesse riscoperto strade e pergolati. È
una notte particolare: ho parlato a lungo con il sogno,
il sogno ha parlato con me in triplice lingua,
mi ha portato in alto e mi ha mostrato la città,
un labirinto con al centro una bestia. Nei casermoni
dormono già, dalla bocca aperta si affaccia l’anima,
un’acre nube di vodka. Nei condomini dormono,
i bambini si mettono in viaggio, le donne aspettano
i loro mariti, dalla bocca aperta hanno accesso
il diavolo e Dio, anche l’amore nasce dalla bocca,
la morte vi entra quieta come un gas tossico,
col respiro esce l’anima e gira a tentoni
nei corridoi, toglie ragnatele dai muri. Questo
sarà tuo, ha detto e se ne è andato. Apro gli occhi
e taccio, taccio, nella bocca tengo un filo.
—
Se è per amore, ci verrà perdonato,
resteranno dopo di noi letti sfatti e città
iniziate, tende schiuse, oggetti appena
sfiorati e un po’ di stoviglie sporche. Se è per amore,
non resterà dopo di noi il vuoto, c’è una tale innata
discordanza grammaticale, il vuoto non può abitare
in luoghi segnati dai nostri corpi, usciranno
da essi piuttosto bambini, paesi e tutti i colori.
Se è per amore, dalla nostra parte ci saranno animali,
cani abbandonati. Loro ci perdoneranno l’immobilità
e lo sguardo perso in qualche punto in noi. Saremo sdraiati
e ci cammineranno sopra giorni e correnti. Costruiranno su di noi
una città e liberi elettroni si affolleranno su di noi, ronzeranno,
e i sogni, i sogni saranno nostri per sempre
da “Antimondo”, di Tomasz Różycki
Marzo, la stagione del regno dei grassi venti
da oltre l’Oder. Risuonano tra gli ontani e i cespugli
le divinità germaniche. Un po’ dormo, un po’ leggo,
ma continuo a rinviare la fine a domani, al giorno
in cui verrà la primavera e getterà una torcia in mezzo
ai miei sogni. Un po’ dormo e un po’ cammino nel sonno
lungo il fiume e cerco di vedere se già quella barca è
approdata alle sponde sbavate dalla nebbia. Già?
È infantile, è weltschmerz, un chicco di sale
sul fondo di cenere della città bruciata, che
porto in una scatola di cerini. Non farti ingannare
dai venti, ché ti prendono, ti portano via e ti gettano
da qualche parte nei boschi, tra i grugniti di floride teutoniche,
tra le urla dei gufi. Sono qua da molto, un po’
dormo e leggo. Non te l’ho detto, ma
spesso mi sveglio in questa barca vuota, in mezzo
al fiume, e ti cerco con lo sguardo sulla riva, tra la nebbia.
Mappe false
Lungo volo senza radar. Portato
su una nuvola in un posto remoto
atterra sul confine dei tre mondi.
La notte tocca il ghiacciaio alpino
poggia la lingua in seno al Jungfrau
e un fiume verde che scorre in città
gli parla e schiuma. Dei tre mondi due
li conosce, il terzo è nella nebbia,
chiuso nel tuo medaglione, nella muffa
dentro la noce. Controlla ogni giorno
con la lingua il destino di chi dorme
in fondo al fiume verde, fa il turista,
l’appassionato d’arte, compra mappe,
vi cerca un luogo, un refuso, un paese falso.
maggio 2005
Da: Colonie (2006) di Tomasz Różycki
Per la precisione: le raccolte “Fuochi di Bengala” e “Antimondo” non le ha tradotte mica Lorenzo Pompeo…
infatti se leggi bene si parla della raccolta “Sacro legame”…..se hai da segnalare i traduttori delle altre, ben venga 🙂 grazie, a presto.
Antonio B.
C’è scritto sui libri: Leonardo Masi. A parte quella che inizia con “Se è per amore, ci verrà perdonato…” che si intitola “Secondo Ipotico” ed è tradotta da Alessandro Ajres. Sennò fa un po’ strano quel “tutti i diritti riservati” per traduzioni non edite e nessuna menzione per traduzioni edite. Comunque grazie per la diffusione di questi due autori! 🙂
Ah ecco. Non possiedo libri dei due ahimè …ho preso questi testi da internet, e non riportavano altre fonti, grazie per la precisazione. Di Karasek, che mi piace di più come autore da quel che ho letto, vorrei prendere, appena il soldo permette, un libro edito da Il ponte del sale…se hai qualche altro libro edito in Italia dei due da segnalare, mi fai un piacere. Grazie mille a te per la precisazione, un saluto
Antonio
Ecco quanto esiste in commercio:
Tomasz Rozycki, Antimondo, Edizioni della Meridiana, 2009.
Krzysztof Karasek, Fuochi di Bengala e altre poesie, Il Ponte del Sale, 2011.
http://www.amazon.it/Antimondo-Con-laltro-Tomasz-Rózycki/dp/8860071631/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1344885178&sr=8-1
http://www.amazon.it/Fuochi-Bengala-altre-poesie-labirinto/dp/8889615184/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1344885329&sr=8-1
per aggiornamenti riguardo a quello che traduco puoi seguire il mio sito,
ciao!
ah non avevo capito che eri tu il traduttore col ponte del sale!! pensa te…scusami ma sto “nell’aria” ultimamente…grazie per la segnalazione, come ti dicevo credo si riferisse all’ultimo testo la traduzione di Lorenzo Pompeo, delle altre non riportava niente…ora sappiamo a chi dobbiamo dire grazie allora! 🙂 Ciao
A presto
Antonio
Różycki mi ha colpito al cuore. Certo ha una poesia lieve nell’uso delle immagini e intensa nel contenuto, ma bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare: evidentemente al traduttore va molta parte del merito 😉 . Ho cercato libri di quest’autore polacco e ne ho trovato uno, Antimondo Appena posso lo acquisto (ne ho tanti nella lista dei desideri!).
Buona giornata, Antonio !
Ciao. Esatto, il libro lo trovi dalle edizioni della meridiana, se non erro. Il curatore delle traduzioni è Leonardo Masi (che, come vedi, ha commentato questo articolo). Io ho una preferenza per l’altro autore Karasek, ma Rozycki anche, è un grande autore, senza dubbio. a presto, grazie!
Antonio