Poesie di Simone Cattaneo

 

 

 

da Made in Italy

 

Una macchina viola priva di ruote
vicino al margine dei boschi
è quello che ricordo dell’ultima volta che ti ho vista
stropicciata e senza nervi faticavi a contare
quante dita delle mani servono per sollevare
una tazza di caffè. È stato piacevole guardarti.
Sono messo meglio di te.

***

Il mio amico Giulio si arrangiava mangiando ragni per pochi soldi,
con qualcosa in più si scolava un bicchiere di detersivo davanti
ai clienti del bar, ha impegnato la fede nuziale e ha preso lo scolo
per potere mangiare, odiava politici, froci, zingari e musulmani
non si è mai capito per cosa parteggiasse
forse solo per quell’albanese comprata e smontata
a piacere sulla branda buttata in fondo al cantiere.

***

Ho incontrato un mio vecchio compagno di calcio
alcuni mesi fa in un ristorante di Torino, abbiamo giocato insieme
per circa dieci anni, da altrettanti non ci si vedeva
ci siamo abbracciati e abbiamo ordinato da bere. Vive lì adesso, almeno
così mi ha detto, genitori e fratelli morti, una zia a Garbagnate e
qualche cugino vicino a Napoli, gli unici suoi gioielli.
Era già ubriaco. Nessuna donna, lavoro interinale e monolocale.
Poi mi ha domandato come me la passavo. A quel punto è caduto
dallo sgabello del bancone e si è fratturato femore e umore.
Ho pagato il conto, chiamato una autoambulanza e me ne sono andato
sapendo che non avrei potuto fare niente di più
quella notte, né per lui né per me. Quando giocavamo
insieme, entrambi difensori, non provavamo pietà per nessuno.

***

Gli amici si sposano, finiscono in qualche comunità riabilitativa non ben definita,
diventano dottori in legge, spacciano, pretendono il 41bis e
tu speri che qualcuno ti possa lasciare a marcire in una discarica
abusiva per uno sguardo sbagliato o un giro sfortunato
come fosse questa la costante stella cometa che indica la tua schiena
ma non c’è da stare male, nessuna donna ha annegato
il suo bimbo nella lavatrice in questo momento, nessun uomo
dagli occhi a spillo mi può fare evaporare come acido inaridito
a questa ora della sera.

***

Fiera dei suoi denti d’oro,mi guarda sorridendo una vecchia ucraina
sull’autobus diretto alla Bovisasca. Parla e non capisco nulla
ma annuisco sorridendo pure io, poi mi mostra le fotografie che tiene
nel portafogli. È mia figlia dice orgogliosa, studia all’università
di Kiev e queste parole le scandisce in un perfetto italiano.
Peccato che conosca sua figlia.
Spompina dietro la stazione Garibaldi per comprarsi Chanel n°5
e imitare Marilyn Monroe. Ma suppongo che la giovane ucraina
non si scopi nessun presidente americano né qualche senatore antiabortista.
È strana la vita in primavera, i sensi si svegliano e il cielo sembra
un grande defibrillatore.

***

Era il capocannoniere acclamato dei tornei di calcio dell’intero isolato
anche se riceveva la pensione di invalidità per totale cecità,
riusciva a spaccare il parabrezza di una macchina a mani nude senza tagliarsi,
aveva la pelle delle braccia flaccida come asfalto fuso
tutti i ragazzi non più alti di così
lo chiamavano Aladino perché risolveva ogni problema di vita con un buon consiglio.
È morto straziato dal monossido di carbonio di una stufa a metano,
ha lasciato alla ex moglie una roulotte verde sbiadita e
dei cumuli di spazzatura grandi come piscine comunali.
Quando ero bambino mi ha biascicato che per innamorarsi
bisogna procedere alla molatura per ottenere una superficie liscia oppure
percorrere un’autostrada contromano in agosto.
Perché proprio in agosto non l’ho mai capito.

***

Aveva uno scolapasta in testa e un unico canino in bocca
mentre ballava su un campo di calcio sterrato
fra i resti di un pranzo d’asporto rispondendo a monosillabi
a domande che nessuno poneva
con uno sguardo sgomento
rivolto verso il cielo spruzzato di cemento.

***

Aveva un piede valgo e studiava diteggiatura
mentre tramutava Ketamina liquida in cristalli per poi sniffarla
e mi chiese ad un tratto facendosi serio cosa ne pensassi
della situazione mediorientale e delle scarse risorse energetiche planetarie.
Mi sono tuffato sulla poltrona di pelle marrone del salotto e
ho chiesto un po’ di vino. Inizia la partita dell’Italia fra poco,
tutti in piedi a cantare qualcosa di diverso mangiandosi solfeggi e
salame: è solamente un’altra serata di calcio contaminato,
in attesa di una nuova leucemia.

***

Appena terminato di servire pasti caldi giù all’ospizio
mi infilo un cappello di carta con le orecchie foderate di pecora e
mi imbuco nel solito bar ad osservare fumi grassi attraversare
le finestre a forma di rombo e i feti sottoaceto nei vetri.
Tre Negroni e due Campari e poi di corsa fin dietro il vecchio ufficio postale
dove ormai solo cinesi e egiziani giocano a dadi
sperando di centrare un doppio sei che mi permetta di comprare
ogni alone di sole
e qualsiasi milligrammo di colore.

 

*

 

Non mi importa niente dei bambini del Burchina Faso che muoiono di fame,

non ne voglio sapere delle mine antiuomo,

se si scannassero tutti a vicenda sarei contento.

Voglio solo salute,soldi e belle fighe. Giovani belle fighe, è chiaro.

Che gli appestati restino appestati, i malati siano malati e

i bastardi che vivono in un polmone d’ acciaio

fondano come formaggio in un forno a microonde. Voglio bei vestiti,

una bella casa e tanta bella figa. Buttiamo gli spastici giù dalle rupi,

strappiamo fegato e reni ai figli della strada

ma datemi una Mercedes nera con i vetri affumicati.

Niente piani per la salvaguardia delle risorse energetiche planetarie

vorrei solo scopare quelle belle liceali che sfilano tutti i sabato pomeriggio

con la bandiera della pace. Non ho soldi e la botta è finita.

Ma sono un uomo rapace, per le vacanze pasquali

quindici milioni di italiani andranno in ferie lasciando

le loro comode case vuote.

Alla fine non sono razzista. Bianchi, neri, gialli e rossi

non mi interessano un granché.

 

*

 

Mi sono svegliato di colpo e ho visto le finestre aperte della camera da letto

e un’aria densa e grigia che mi faceva tremare dalla testa ai piedi.

La mia ragazza ucraina nuda sul davanzale mi indica il confondersi

senza retorica della luna con il sole attraversato

da un lampo d’aeroplano schiacciato.

L’avrei voluta strangolare sul posto con la cintura dei pantaloni

se solo li avessi avuti addosso. Quindi le ho chiesto gentilmente di chiudere

le finestre e di tornare a letto per un ultimo chiarimento.

Due giorni dopo l’ho prestata al mio migliore amico in cambio

di tre prime linee di Versace e di un aperitivo al bar.

Perchè l’amicizia è sempre l’amicizia.

 

*

 

Troppo bello per essere un pugile,

troppo brutto per fare il magnaccia

camminavo nel centro di Buccinasco

senza lavoro e inzuppato di grano

aspettando l’ora dell’aperitivo

quando mi sale la voglia di farmi fare le carte dalla vecchia strega del quartiere.

In realtà i suoi tarocchi non sono altro che

pezzi di bibite strappati a dentate ma alla fine ci si arrangia con quel che si può.

Rifilato un carico da venti alla vecchia le chiedo brutale

quando morirò, lei mi sorride e risponde presto a ventisette compiuti.

La informo dei miei ventinove e la mia anziana strega di Buccinasco mi

conforta dicendomi, vedi allora sei un uomo fortunato.

I soldi migliori spesi negli ultimi dieci anni.

 

*

 

Si è tagliata le vene e ha disegnato con il sangue

sul muro che costeggia il mio palazzo dei dolci gabbiani d’amore.

Non è servito l’intervento di pulizia del comune, un po’ di pioggia

nella notte ha cancellato tutto. Chi fosse questa strana tipa

non si è voluto mai sapere, aveva solo una specie di ponteggio

che le reggeva il mento. Sarà stata una grave malattia dal decorso fulminante.

Certo è che novizi, discepoli e santoni

portano tutti gli stessi cognomi

contraggono il viso ed è un omicidio,

credono nell’ospitalità di un’unica soluzione,

una sola dimensione, una fatale emarginazione.

 

*

 

Non luogo a procedere.

Guardo dalla finestra di casa lo scheletro di una lavatrice

partorire sotto i platani del viale una nidiata di conigli elettrici,

alzo la testa e vedo un soffitto di stagno rosso arancio

sbilanciarsi in avanti con rumori assordanti, cammino rasente i muri

con la paura di inciampare nel materasso di lana arrotolato e

fracassarmi di nuovo la clavicola.

Vorrei che qualcuno mi picchiasse sulla schiena con degli asciugamani bagnati

e mi scaricasse fra le macchine abbandonate in zone isolate.

 

 

***

Non è importante ciò che resta o si è fatto,
sono le cicatrici suppergiù visibili
disegnate sul corpo come una mappa di punti interrogativi
che mi piombano addosso e mi inchiodano qui davanti a te,
frontiere avide di dubbi latitanti
che non puoi risanare né ingabbiare
nemmeno se ti plasmi una religione su misura
colma d’amore per i sudari e le leggi marziali.

***

Ma tu scorgi la planimetria di qualsiasi città prima ancora di svegliarti:
un’attitudine naturale a cacciare la testa nel forno
per sensibilizzare l’olfatto, un’audacia nel passare un ferro rovente
sul braccio per acuire il tatto, soldi regalati ai cartomanti
e chiodi al posto degli stivali che si infilano fino ai polpacci.
Poi busso alla tua porta aperta e anche la gravità mi sembra
uno scherzo di cattivo gusto mentre ti guardo in accappatoio
sussurrarmi – Oggi tocca a te, domani tocca a me. –

***

Lampade al sodio guaste sul pavimento della cucina
e intorno al mio corpo macchie d’olio che sembrano vermi
gli occhi lucidi come bigiotteria
e una specie di bitume che sigilla il cielo del Mediterraneo,
mentre parlo sempre con le braccia tese davanti a me
come per spingere via un corpo assente.

***

La prima parola di latino che ho imparato è “silentium”.
Stava scritta su un pezzo di cartone giallo attaccato al muro del bar in cui
servivo da bere in estate. “Silentium” ossia “silenzio” in un luogo dove
grida, schiamazzi, scommesse e intrallazzi erano come luce all’alba,
suonava un po’ strano per un bimbo con i piedi sulle spalle come me.
Quando il bar chiuse decisi di portarmi a casa quel cartello ma
non lo volevo rubare, il proprietario era un amico che stava in piedi
per grazia ricevuta così gli feci la mia offerta, un’offerta più che
generosa per un pezzo di cartone logoro e sporco.
Almeno una ventina di persone prima di me avevano fatto lo stesso e
con cifre ben più consistenti. Perdigiorno, ubriachi, zingari e ladri
ad un’asta abusiva per un po’ di latino. Alla fine se lo aggiudicò
uno zingaro friulano in cambio di mezzo milione di lire in contanti.
La vigilia di natale incontro questo ragazzo nel bar sottocasa dove
festeggio sempre le feste comandate che mi tira fuori quel logoro cartello
avvolto in una busta da supermercato. È per te mi dice, ci tenevi tanto.
Non capivo se mi pigliasse in giro o volesse chissà cosa.
Mi sono girato e sono tornato a brindare con gli amici.
La cosa per me era finita lì. “Silentium”.

***

La cagna ha cambiato canile, mia moglie ha cambiato marito.
Così una sera di novembre, il mio amico Pino mi ha descritto
la sua vita sentimentale sdraiato sulla poltrona di plastica verde
della mia cucina. Poi ha spento la lampada al magnesio
macchiata dalle mosche, mi ha chiesto come stavo e
senza aggiungere altro se ne è andato.
È rincasato camminando sulla striscia a linea continua
della provinciale sperando che la notte si potesse tagliare.

inediti

A fine agosto il tuono morde i lampi prima che piova e
il cielo sembra sempre avere bisogno di un’autopsia,
cammino sulla strada crivellata di buche come fosse
un costoso tappeto cinese, la neve gialla è ancora lontana,
la luce pare un caleidoscopio difettoso ed io vado
dove i ragazzi hanno denti d’oro larghi come gonne a fiori
e nessuno mi potrà più servire da bere vino tagliato con il solfato di rame.
Ormai è un furto ogni prospettiva di fuga.

***

Stavo scrivendo una lettera a Dean Martin
così per ragionare sui sistemi massimi dell’esistenza
quando mi fermai e decisi di uscire di casa.
Incontrai un tipo dai capelli fulvi e lo sguardo da assassino,
allora intonai una vecchia ninnananna per rassicurarmi e
deciso mi infilai nei cessi della stazione.
Oltre ai soliti marchettari, puttane, spacciatori e compagnia bella
vidi un tizio che inzuppava furtivo pane nell’orinatoio appena usato da altri
per poi mangiarselo con gusto. Aspettai una buona mezz’ora fuori dai cessi
prima che uscisse, volevo parlargli, chiedere spiegazione sulle sue direttive dietetiche
e domandargli quale fosse la sua posizione sull’imminente invasione aliena e sui vegani in generale.
Ma appena mi vide mi scambiò per un semplice marchettaro e lì per lì non sapendo cosa fare
accettai. Per cento euro gli feci un pompino, e dopo una buona ora
passata a sentire della musica
metallara brasiliana mi fece il culo. Tornai a casa soddisfatto.

***

La mia donna crea dipinti con i suoi capelli castani
sul mio petto scuro,
aspetta sulla soglia della mia carne ogni suo errore,
mi conforta dicendomi che soffrirò da solo,
cadrò e non mi solleverò,
ucciderò sette persone e avrò tanti giorni di carità
quanti un cane in un canile, rimarrò solo senza più denti,
farmaci né sentimenti
finirò come quello straniero incontrato un lunedì pomeriggio
in un caffè di Milano centrale.
Più o meno la sua vita era andata così – I had a woman,
she left me –. Nulla più di questo.

 

Simone Cattaneo (1974 – 2009). Sue poesie sono state pubblicate su “Atelier”, “La clessidra”, “Hebenon”, “ Poesia”, “Letture”, “Graphie”, “Tratti” e “Clandestino”. E’ stato incluso nel testo curato da Giuliano Ladolfi, L’opera comune. Antologia di poeti nati negli anni settanta (Atelier, 1999). Suoi testi, con una presentazione di Roberto Roversi, sono presenti nell’antologia Dieci poeti italiani (Pendragon, 2002), a cura di Maurizio Clementi. È stato incluso in Lavori di scavo. Antologia dei poeti nati negli anni ‘70 (Antologia web di Railibro, 2004) e in 100 Poesie di odio e di invettiva a cura di Antonio Veneziani (Coniglio Editore, 2007). Il suo primo libro di poesia, Nome e soprannome, è stato edito nel 2001 nella collana di poesia della casa editrice Atelier. È da poco uscita una sua antologia, dove sono raccolte tutte le poesie, per i tipi dell’associazione “Il ponte del sale”.

7 thoughts on “Poesie di Simone Cattaneo

  1. Ho trovato la sua poesia vicinissima a Charles Bukowsky. La sua vicenda personale, trascritta in versi, inquieta l’animo, e lo fa sorridere. Mi stupisco davvero di questa contraddizione. 🙂

  2. Ciao, sicuramente è una poesia urbana, di vissuto quotidiano, molto “beat” volendo, ovviamente. A me non fa tanto sorridere, più che altro è vero che crea un ambiente a volte onirico, in altre grottesco, dove viene “caricaturato” molto il vissuto, l’ambiente storico, che però è molto attinente al reale. Ad un reale fatto di droga, sesso, underground. Mi piace accostare invece molto questo poeta ad Andrea Pazienza. È un reperto diaristico questa poesia di un vero reale di strada. Ma proprio perché appunto si sviluppa attorno ad un reale di plastica, lo stato emorragico di questi versi è un continuo pulsare vitale proprio dell’esistenza del poeta, che fino alla sua fine ha voluto mantenere fede al suo stile di vita (a cui sono molto vicino) che a tutta la sua poetica, di conseguenza.

    Grazie per le tue considerazioni, a presto.

    Antonio

  3. Pingback: Simone Cattaneo: Racconti del corpo | Compitu re vivi

  4. Pingback: Poesie di Simone Cattaneo | antoniobux | alessandrapeluso

  5. Conoscere Simone da vicino , parlare dei propri destini di parole e delle pulsioni che le muovono e le fanno esistere . Ma probabilmente Simone è uno che avrebbe glissato dicendo ” non sono bravo a parlare di me , non mi è facile spiegarmi , leggetemi , è tutto lì “

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