5 poesie da “Ora serrata retinae”
*
Molto sottrae il sonno alla vita.
L’opera sospinta al margine del giorno
scivola lenta nel silenzio.
La mente sottratta a se stessa
si ricopre di palpebre.
E il sonno si allarga nel sonno
come un secondo corpo intollerabile.
*
Preferisco venire dal silenzio
per parlare. Preparare la parola
con cura, perché arrivi alla sua sponda
scivolando sommessa come una barca,
mentre la scia del pensiero
ne disegna la curva.
La scrittura è una morte serena:
il mondo diventato luminoso si allarga
e brucia per sempre un suo angolo.
*
Il cervello è il cuore delle immagini,
il suo orizzonte la curva
rigida dell’occipite.
E tutto ciò che vive
è nello spirito. Nel suo cerchio
silenzioso stanno il cielo,
gli uomini e se stesso.
*
Spesso c’è bonaccia sulla pagina.
Inutile girarla per cercare
l’angolo del vento.
Si sta fermi,
il pensiero oscilla,
si riparano le cose
che la navigazione ha guastato.
*
L’arrivo del sonno,
muto e alto
quando il nuvolato si allarga
e la sua luce diventa profonda.
Questo letto è una tavola astronomica
su cui il corpo disegna
l’occidua costellazione del riposo.
5 poesie da “Nature e venature”
*
Sembra quasi che tutta la nature
voglia dare le spalle alla luce
-si volge le oppone il suo corpo-
nell’abbraccio protegge il pallore.
Gli oggetti nascondono il volto
coltivano curvi ciascuno la sua ombra
come se l’ombra fosse il loro nome.
*
Poi tutto questo cessa,
termina la corrente ascensionale.
Lascio la verticale del mercurio
la sua strada ferrata, le catene
montuose,
lascio il metallo, lascio le miniere
e il braciere sepolto,
il giacimento
notturno, la matrice del calore.
Lascio, lasciato, lasciami.
*
Osservo il panorama della fronte
nella sua piena nudità,
nel numero, lo stesso, che produce
la crescita dei rami,
la facciata leggera di una chiesa,
le spire della chiocciola,
le foglie.
*
A mattino inoltrato,
nel pieno procedere del giorno
ancora qualcuno si attarda nel letto,
segnato dall’ipnosi,
intento al restauro del sonno.
Come se si potesse riparare
la notte,
il vaso infranto,
la lesione del cielo
*
Io cammino fumando
e dopo ogni boccata
attraverso il mio fumo
e sto dove non stavo
dove prima soffiavo
5 poesie da “Esercizi di tiptologia”
*
Presenza e assenza.
Mutazione geologica.
Io che cedo sotto il suo peso.
Subsidenza,
e il mio lento sprofondare.
Ma in verità non cedo
sotto un peso, poiché gli sono sopra,
scendo, sto sopra e scendo, Toboga,
e il suo peso è un tirare
dal basso, un prendere forma attirandomi
giù, sabbia da sabbia,
perch’io riappaia capovolto come
filiale di me stesso
al capo opposto
di questa clessidra genetica.
*
Le bende, barbe delle piante, tenere
fluttuano giù nel basso
congiungendosi al morbido,
al cieco, all’intatto del fondale,
congiungendosi a me.
Giunche che sono terra, zattere,
lingue tremule al battere dei flutti.
La mia fondazione fu rituale
e insensata, e sorsi sul franare
e nacqui dal mancare
palafitta del nulla
palo nel nulla fitto.
*
Ognuno a turno porta il genetliaco,
il giorno dove muore
la propria età. Gennaio,
il mio, la porta
delle stagioni, quando
porto la salma al valico,
alla cruna dell’anno,
cappio e strettoia, angina
che mi allontana il sangue
lasciandomi ghiacciata
a tutela del gelo.
*
Il bagno che allenta, che disfa,
scioglie,
ma perché sciogliersi
se io sono il nodo,
l’intreccio,
se io, nodo, sono
il fiocchetto
delle paure?
*
L’imballatore chino
che mi svuota la stanza
fa il mio stesso lavoro.
Anch’io faccio cambiare casa
alle parole, alle parole
che non sono mie,
e metto mano a ciò
che non conosco senza capire
cosa sto spostando.
Sto spostando me stesso
traducendo il passato in un presente
che viaggia sigillato
racchiuso dentro pagine
o dentro casse con la scritta
“Fragile” di cui ignoro l’interno.
È questo il futuro, la spola, il traslato,
il tempo manovale e citeriore,
trasferimento e tropo,
la ditta di trasloco.
5 poesie da “Disturbi del sistema binario”
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Domenica mattina
mi risveglia la voce
di mia figlia che gridando
dalla cucina chiede
a suo fratello
se davvero la Bomba,
quando scoppia,
lascia l’ombra
dell’uomo sopra il muro.
(Non di “un uomo”:
“dell’uomo”, dice). Lui
annuisce,
io mi giro dentro al letto.
*
Legalità è legittima se lega il forte,
se tutela il debole.
È il nodo che scioglie l’umano
legandone i legami.
Non c’è legalità fuori da quel legame
dove si stringe per meglio liberare.
*
Guarda questa bambina
che sta imparando a leggere:
tende le labbra, si concentra,
tira su una parola dopo l’altra,
pesca, e la voce fa da canna,
fila, si flette, strappa
guizzanti queste lettere
ora alte nell’aria
luccicanti
al sole della pronuncia.
*
È inutile cercare di svuotare
i palazzi imbottiti d’amianto:
meglio buttarli giù, rifarli da capo.
Come vuoi che mi spurghi dall’ira,
questa lana di vetro, pulviscolo
di materiale altamente tossico,
questo franare di pagliuzze
che mi compone, che io sono,
impagliata creatura,
pelle cucita su una massa letale,
involucro appena, pellicola
su una sostanza infetta.
*
Creature biforcate e logo-immuni
mi sorsero davanti,
invulnerabili alla verità.
Ero entrato nell’era dell’anatra-lepre,
in una età del ferro, del silenzio.
Poesie di Valerio Magrelli
tratte da “Poesie (1980-1992) e altre poesie”
e “Disturbi del sistema binario” (Giulio Einaudi Editore)