Benedizione del legamento
Ricordo la passeggiata
di Hobbes, le strade premute come cefalopodi – soprattutto di ogni passo
l’origine, la gabbia intercostale. Poiché la secchezza delle fauci
vale come carestia
per queste vie brachiali, percorse ora a un fianco
ora in mezzo al torace, dove
il sangue è reciproco e la sintassi
dispari – il “più bel legame”, il vertice che attira
gli insetti. Un viale alberato
è un cordone sanitario
dove il centro sta per miracolo, mentre i lati
toccano alle epidemie. Per comodità, separo la predicazione
dal contagio – ma decisiva è l’inclusione, la corsa
ai linfonodi. (Le cose più piccole, per esistere
devono eccedere in numero, sfasare il tetto, tramutare la cifra
in effetto). Ma come gestire le gambe, tutto – se il corpo contiene
vuoti ricorrenti
ricavati tra le spugne – come, se accoglie
ogni schiacciamento
e teste enormi. La peste è un’unità
piramidale, installata dove tutto è più molle – è una camera
sottoscapolare, un tessuto
poroso. E raggiunta la sua sede, trema:
esattamente un budino.
Retentissement
Anche questo sonno mescola le ossa, sceglie il centimetro, la statura
dell’amnesia. Tutto è esposto
alla trazione invisibile, il fiato corto degli dei
che inalano il soffitto. A nulla vale l’agilità del telaio,
la parola al carbonio, l’acqua
senza mediazioni, nel prodigio. (Qui la fine
è una funzione del tessuto, procede dall’amido).
Dunque molte cose sono un’esplosione, più le altre
che arrivano in barella
nello spazio di un taglio. Perciò della tosse credo
più della scossa: invece si concentra il buio, la sillaba
dell’infortunio. Svegliarsi allora
è medicare la stanza, sbucare nel secolo.
Più alto l’incarico: tutto accade così fuori – tutto, intendo, rasoterra
in perfetta aderenza, la frizione anatomica –
non possiamo che ricevere i feriti
dove avviene l’origine e tende
a non scomparire, ma anzi a precisare la cura
questa casa ha un decorso, una condotta clinica.
Ri-capitolazione
Non si interroga un oggetto ma si collauda il vuoto
non si torna vivi tra i vivi per raccontare
come l’occhio si conclude dove
comincia la pista degli atomi e più o meno tutto si arrampica
per mai più tornare, più o meno tutto stravolto, con le zampe
che tentano un recupero, un insetto in quella frenesia
che risucchia l’aria – e la crosta pure intatta, dietro, fa a gara
col mondo, disegna una ruota, una trottola
nel cuore della corsa, un giocattolo
della fine.
L’infanzia è un ronzio di aerosol: un boccaglio spray
attrae la percentuale, la frazione curativa, il settore
che ripristina il sangue, l’acqua derivativa
ai minimi termini.
Layout
Il tempo a barre dei display
strattona il sangue nella mischia, contende la mosca
al suo dominio di centinaia
e centinaia di occhi, e centinaia ancora, la folla
si rovescia e reclama
il vuoto innocente e preme e divarica
la stanza, curva a strapiombo, rintraccia nel letto quella norma
che detiene l’origine.
Non è facile rinvenire
un altrove del centro, spiazzati
in testa al buio compatto
che si fa strada e lascia
il mondo al palo.
Così poveri di mondo, allora, staccare il testo dalla pagina e questo enunciato
che prende una strana piega, si sbilancia, cade a specchio, obbedisce
al suo stesso piombo.
Norme viventi
La sepoltura dei morti è un modo di contare l’ombra
che risale alla piena dei passi, dimezzare la parola
contro il varco o come
distribuire il dolore in parti eguali e tutti
rendere grazie al suo unico
principio di conversazione – mentre qualcosa
resiste alla vita come
a un’inondazione, una scorreria di cellule
tutto procede senza interruzioni
finché l’evento non chiede asilo al regno
degli invertebrati e in osservanza
alle leggi più abissali assume
una densità altra, sconfessa quella severità
dello scheletro per resistere
al fischio della pressione che confeziona
la silhouette in vista
dello scoppio
e l’interezza dei pesci e degli dei mirabilmente
assistono la concorrenza
di niente in vari
e pratici formati (l’idea è che le cose, nella discesa
sostituiscano al peso
un dispositivo
di sicura efficacia)
e l’evento di cui prima
semplicemente non può esistere e plana
uno strato più in basso, perviene al tappeto
del discorso, si deposita
nel vuoto
*
è dunque prassi che la stazza dei morti
sia incrementata per ragioni
di compatibilità strutturale, in adeguazione
alla morte e alle recenti norme (la prima non conosce scomparti
ma scomparsi e potete facilmente riconoscerla, enorme
e si presenta sempre tutta dunque
ciascuna morte si configura
come una strage, una frana integrale)
perciò un cadavere non conosce pace da che
inizia ad ingrandìrsi
fino a quando non spicca il volo e certamente occorre
indagare riguardo questa sproporzione
tra estensione e vita, ed è difficile in tutto questo
rinunciare a un distretto
immacolato, fare a meno del vuoto
Un primo niente
Cose durissime si opposero
all’anello terrestre, al metamero irrigato.
Nella boccia avvenne l’insperato,
la corolla d’aria: non una foglia
tremò più del devoto.
Per mezzo di grandi anfore e di
significati ancora maggiori
approntiamo il travaso di umori,
il medaglione di creta.
“Due infelici tendono in principio ad amarsi
poi a farsi dispari”
Un bilanciamento più esatto
si esprime oggi
nel lingotto di pane
che tappa la casa, imbocca il milione.
In concomitanza di niente
si avverano pietre
Un secondo –
Dicevi dei gesti
che non hanno mai conseguenze – ma gestazioni,
placente, vuoti materni. Temo l’entusiasmo
degli uomini.
Qualsiasi pioggia
ci trova sbilanciati,
conosce l’abito
fino alla carne scoperta, al segno dell’elastico.
“Diffida dei viventi
ed ama gli abitanti
poiché lo spirito di dio aleggia
in principio sulle acque, poi sulle case.
In maniera non difforme
ogni azione è feroce
e solo un’idra
prepara gli esami”
“Non impareremo mai a legare
che sia la scuola, o le scarpe”
“Ti attribuisco i morti e un cappotto
analogo alle mosche”
Uno stagno
bastò a scoperchiare il nome
esatto delle tartarughe.
Da cui tutte le cose docilmente
discendono – con il carapace
e il liquore inattingibile.
Che possa
questa giaculatoria
esorcizzare l’inevitabile, la pozza in pieno viso.
Un niente ancora precedente
L’analogia del piombo
così vicina agli scatti, alla pressione
immersa nei quattro circoli del latte
nella tazza che inquadra piccolissimi naufragi
dove qualcosa ancora annaspa
Mentre il cucchiaio percorre vortici
in ordine sparso
registro questa mania
di capovolgermi (come una vocazione
alle ruote di tortura)
e il cuoio flessibile dei demoni, già di ritorno
– qui sono tutti sconosciuti, fermiamoci
Non vedere i sigilli lucidi,
i binari inarcati, sollevati dall’incarico – è solo per rigenerarsi
a più riprese ci mostrano
come il mistero sia una genìa lenta,
una specie di ritardo
(i sacchi del sacro
li hanno già ammassati, uccisi
sulla via di Damasco)
Non c’è niente di umano – vi prego – in quel gonfiore
nel profilo gravido
riempito di morte, scoppiato
sprofondato, infine,
per abitudine, solidarietà,
per pietà delle rette
poesie di Manuel Micaletto
si ringrazia la fonte del post:
da Blanc de ta nuque di Stefano Guglielmin
originalissima poesia, complimenti all’autore e a Antonio che lo ha postato
grazie Fabia, Manuel merita davvero 🙂
mi e`morto il pc, ho problemi in questi giorni, appena posso ho intenzione di postare anche qualcosa del tuo libro 🙂
a presto, buone cose!!!
Antonio