Cinque poesie da “Bianchi Girari”
Verba volant
non è un filo. La parola è pensiero in polvere, il residuo grigio di una
materia cerebrale.
Celebra la cenere, la terra. Arretra, se temi la parola, ma poni prima un
fermacarte sulla fossa, che indichi il pericolo di questo luogo.
O il vento, senza neppure chiedertelo, prenderà la scrittura e la porterà
sulla tua bocca.
Mettici una pietra sopra. Tu temi la parola perché vola.
Tu temi la parola perché vuole
I. Li hanno ritrovati sottoterra
in una pagina di argilla,
in un abbraccio
così lungo da consumare il corpo.
Dalla pelle alla carne
le carezze
allentate fino alle ossa intrecciate tra le gambe.
Ischio e coccige
mischiati a qualche selce,
il femore e la tibia
incrociati (per essere vicini)
li hanno ritrovati nudi, primitivi,
in fragili frantumi nella nebbia.
Nella pianura di Valdaro
la saliva è divenuta polvere,
il diario dello scavo
poema nella stratigrafia delle parole
un verso dopo l’altro verso l’origine del mondo.
II. la caligine, e i teschi
sono apparsi in una forma cardiaca
sulle spine
dorsali, scarne trame quotidiane
disegnate nei quadrati
un metro per metro. Un abbraccio
di vetro esumato per divenire
friabile incrocio
di omero e di ulna -che non venga in questo luogo
chi non è mai riuscito
ad annodarsi dall’interno con un altro-
il canto segue
Jorge Enrique Adoum, un’ombra
che attraversa la pagina per un istante solo.
Si ricompone il tempo,
una pangea
che sovrappone a Sumpa
la periferia di Mantova.
L’archeologia del sentimento è stata un unico cantiere
in cui venne la parola nera a chiederci,
a trovarci per tradire il silenzio
per rimanere nascosti in un doppio incavo di terra
III. sapremo dalle analisi di laboratorio i loro sessi
il colore dei capelli,
gli occhi,
faranno maschere di cera,
per imitare i tratti
eppure il codice genetico, la radice di un dente
non potrà restituirci la parola. Niente.
Ma forse
non aveva ancora nome l’amore
e la morte
faceva parte della vita, che veniva dissepolta, la voce
di un pazzo che grida:
-io con la morte ci faccio l’amore-
l’amore con la morte in allitterazione
è stato come perdere una biro.
Svanita nella mano:
era una bic. Per strada in bicicletta
mi volto indietro, per cercarla.
Niente euridice. Neppure l’ombra. Bramo.
Un’ora di ritardo, si fa buio;
non è neanche a casa ad aspettarmi;
rovisto tra le stoviglie. Veglio
(nel frattempo giro
nell’isola di una parentesi curva
del tempo dilatato del dolore. Frantumato)
cinque poesie da “Sintomi di alofilia”
Flora batterica
Nutro di fermenti vivi e di concimi
una vegetazione batterica,
cresciuta spontanea
tra i diverticoli dell’intestino.
Batteri di serra,
sintetici coloniali di plancton.
In un’altra Era
mi nutrivo di alghe unicellulari.
Antenata dieta microbiotica.
Il rimasuglio
dell’ultimo pasto primitivo,
è un cucchiaio indigesto di un brodo
primordiale.
pantheon
Si apre nell’iride la pupilla.
Un cono di luce obliqua
fende la camera oscura.
Riluce il cerchio
sulla scena vuota della volta.
Immagine sacra
volto del volgere solare.
Tempio,
sepolcro dello spazio,
modello oculare,
protesi astronomica,
costruzione verticale dello sguardo,
occhio rivolto verso il cielo.
I venti erodono la pelle
e scoprono le vene,
i tendini,
il segno delle venature,
la fibra del legno.
Si radunano le rughe
come dune sul volto deserto.
E mentre mi consumo,
mi scopro,
prendo parte all’entropia.
Lascio tracce,
imprimo impronte,
perdo parti.
Resto argilla umida
calanco scavato da rivi di sudore,
creta bagnata,
brulla scultura non finita.
Rotula
Bisogna immaginare Sisifo felice.
Conservo nel ginocchio
una pietra di fiume
levigata sullo scorrere
del passo.
Rotola
fra il femore e la tibia
un ricordo di viaggio,
il sasso che trasporto.
Vengo da una galassia domestica,
sceso a terra
in una capsula di plastica
atterrata
sulla foglia franca del condominio.
Il mio tragitto verticale
è stato la regressione numerica dei piani
e nel traffico fitto della strada,
resto alieno al luogo,
come un omino verde di luce
sull’interlinea delle strisce pedonali.
Poesie di Michele Porsia
tratte da “Bianchi girari” e “Sintomi di alofilia”.