JAVIER VICEDO ALÓS – FINESTRE SU NESSUNA PARTE – PRE-TEXTOS ED. (2010)

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UN SOLO OCCHIO SU TANTE FINESTRE

La poesia di Javier Vicedo Alós è una lirica vigile, consapevole, pregna di una sospensione emotiva che favorisce una stasi di tipo riflessivo, addensandosi in un contesto filosofi-co/poetico dove il respiro del pensiero muove tra le pagine vari echi dissonanti fino a rimandi nichilistici e meditativi, che ben si ritrovano nel disincanto di un novecento appena trascorso ma mai del tutto. Questa poesia fa dunque della riflessione la propria spontanea ricerca; una poetica perentoria e chiara, che spesso aumenta di tono nel suo esaurirsi, quasi a voler lasciare appositamente interdetto chi legge. Il titolo della raccolta, Finestre su nessuna parte (dall’originale “Ventanas a ninguna parte”, che nel 2009 ha vinto il «Premio de Poesía Joven» bandito da RNE – la Radiotelevisione spagnola – e che di seguito è stata pubblicata in Spagna nel 2010 dall’ottima casa editrice valenziana Pre-textos), evoca la solitudine del poeta, che osserva il mondo nella sua inesauribilità da un luogo imparziale, irraggiungibile; un angolo lontano da dove fissare le coordinate anche della propria personale ristrettezza, imposta dalla carne, dalla materia; dirigendo le proprie emozioni così da una finestra (a volte spalancata, in altre occasioni solo socchiusa) che in realtà è specchio a metà di sé; finestra/varco che assurge a rappresentazione dell’anima, che è poi l’anima del mondo. Le poesie hanno come tema centrale proprio questa visione ambigua e mutevole dell’esistenza: il desiderio d’infinito, affiancato però a un’indagine sulla realtà circostante senza scampo apparente. Vicedo Alós riserva alla parola, per questo, un’attenzione maniacale, rendendola monito, ma anche privazione sistematica, intendendola come simbolo da preservare costantemente, così come la finestra, vera figura centrale di tutta la raccolta, metafora di distacco e anelito verso una nuova simbiosi con tutti gli esseri della terra e con il grande vuoto sapienzale dell’universo. Universo che comunque ritorna in sé e retrocede in una “parte”, in un luogo nel quale non si ha scampo, anzi, da dove riaffiora prepotente il desiderio/rigetto di appartenersi (Rischioso il ritmo della carne/questo salto contro il mondo/e la sua respirazione di corpi vincolati. /Però lì è l’uomo: in quel rischio d’esserlo; da Desiderando mondo). Così il poeta, nella sua lungimiranza, lancia un appello di consapevolezza al lettore; donando il suo occhio all’altro, apre alle sue tante finestre uno spiraglio verso il nulla, un soffio verso quegli intimi orizzonti della vita; sapremo allora noi vederci dentro, sapremo cosa e dove guardare?

Antonio Bux

 p.s. (nel 2015 vedrà la luce, per le edizioni romane Gattomerlino Superstripes, dirette dalla scrittrice Piera Mattei, la versione italiana di questa raccolta, da me tradotta, dal titolo “Finestre su nessuna parte”). Ripropongo, di seguito, alcune versioni dal libro come anteprima.

OMAGGIO VERTICALE

a Roberto Juarroz

I

Diamo fuoco all’acqua
e spegniamo la trasparenza.
Così l’uomo brucia la limpidezza del mondo
e la imprigiona di silenzio.
Il tremore umano del fuoco,
lo strepito di una voce che si spalanca
ammutolisce qualsiasi parola.
Al fuoco basta ardere.

 

II

 
Non c’è parola più certa di un’altra.
S’impara a tacere con gli anni,
benché sembri che stiamo parlando.

Si nasce senza parole
e con tutte le parole spezzate ce ne andiamo.

E tuttavia,
nonostante vivere significhi ammutolire,
esiste un piacere originario nel silenzio,
che giustifica tutti i silenzi.

 

CENTRO POSSIBILE

Corpo, strappi la notte, e c’è mondo.
Ci sono finestre, e vertigine di adesso,
di sempre;
la tentazione anche, così ferma, dell’oggetto:
essere legno o pietra,
prigione della propria forma.
Ma il gesto è futuro:
un corpo resta fermo, o indietreggia
e la finestra è ormai vicina.
L’istante è impellenza, aria, lancio
-nel pensiero si fa il movimento:
caduta o ascesa, nessuno può saperlo-.
Corpo, centro di tutto il possibile.

 

DESIDERANDO MONDO

a Santiago Pantós

Faccio un passo verso il mondo.
Fare un passo è tendere le labbra,
sacrificare la nostra vocazione alla tristezza
aprire il duro guscio della notte.
Faccio un passo verso il mondo
esausto di tanta sorte immobile
-un uccello è le sue ali, un uomo il suo desiderio-.

Palpitano come vene le strade.
E so il fumo di tanti gesti
la luce vinta nello spessore degli alberi.
È rischioso il ritmo della carne,
questo salto verso il mondo,
la sua respirazione di corpi legati.
Però lì è l’uomo: in quel rischio di esserlo.

 

TRITTICO DELLA CADUTA

 
I

 
Non c’è bisogno, non tendiamo la parola
né i gesti fino all’animo,
solo potete accompagnarmi
come io accompagno voi.

Che più nessuno prometta una mano stretta all’altra,
l’universo è una mano che trema sola.

 

II

 
Diamo presenze all’intimità
come si riempie un abisso.
Diamo gli uccelli in fuga dai significati,
l’oscuro sguardo di quello in agguato.
Diamo al prossimo il nostro profilo di pietra.
Precipitiamo promesse, echi, turbolenze.
Apriamo la mano e decifriamo il mondo.

 

III

 
Una mano scrive la propria solitudine di uomo,
l’uguale caduta del diverso
la vertigine d’essere
in altri.

 

FINESTRE SU NESSUNA PARTE

 
Che guardi al di là della finestra:
il mondo o il mondo che vorresti?
Forse non stai guardando nulla
e nulla è tutto ciò che da essere, saresti.

Guardando i nulla si costruisce un uomo.

 

NEGLI ARMADI

A Juan Gómez Bárcena

Vivere è anche raccogliersi negli armadi:
una parola troppo aspra,
il travestimento del momento macchiato per sempre,
quel cappotto di tua madre
o una pezza d’azzurro intenso
senza stagione d’un così azzurro …

Ora vivi il tuo ritiro.

Misura bene la tua felicità presente
prima di appenderla come una gruccia.

Un giorno non entrerai più nell’armadio.
Ti riporranno con il fuoco
sotto l’aria.



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