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Torna morta la carne che si indora, la muta del sangue nero.
La zolla dei sassi, diradati dopo il rumore, è tutta la terra.
Hanno chiamato arance le anatre, fuori dai cappotti, sul lungosenna.
Tentano ancora, dopo il tramonto, nella bufera dei loro occhi.
Ma nessuno è qualcuno, niente la notte, nessun mattino.
Promisero agli scolari il cielo che si vedeva.
Niente di questo è vicino. Va dura la mano
sulle tue spalle bianche, i piccoli denti, nel tuo sorriso.
Dagli uomini agli uomini va, imposto a credervi.
Questo anno Santa Lucia era mio padre, col suo fantasma.
Reliquiari 1
Legni. E la terracotta funeraria Bamileke,
il busto Komaland. Figure di antenati.
Nere, per l’acqua, per il cibo e per l’invaso
della bocca, supino il viso, le stesse labbra.
Ferri. Coltelli da lancio a quattro punte.
Zinco, ottone, ossido. Monete del Chad.
And an Ethiopian headrest… Dormono,
gli antenati come gli infanti, prima del sole.
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Reliquiari 2
Casa
Pietra e calce. I cartocci di mais
nella tinozza di zolfo e colorante.
Le travi, nel sasso è muta una faccia.
Latta, alluminio e rame sulle pareti.
Il letto con le ali, le travi annerite
dal fumo nella guerra. Culla di vimini.
Sulle ante degli armadietti a muro,
l’amarezza. Nel secchiaio di pietra.
E la bigoncia, i lumi a petrolio, la gerla,
le acquasantiere, la boa del Pen-Hir.
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Reliquiari 3
Le polveri di Adriano sono in cortile.
Sangue raccolto dalle more,
dal biancospino, dai rododendri.
Il prato è la custodia, il feretro, l’arca.
Pisside eburnea, scrigno d’argento,
con ornamenti fitomorfi, e smalti.
Reliquiario a borsa, a forma di casa.
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Reliquiari 4
padre
I fiori di tiglio nella iuta. La polmonaria,
i suoi tubercoli nella sbiadita infiorescenza.
Tra i sacchi dei vestiti, un tuo cappello.
Giallo, giallastro, è l’intonaco bianco.
L’infuso di prataiole sul palato. La nausea.
Tavola di erbolario, tavola morta, di te e di me.
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Reliquiari 5
Traslati. I Santi Gervasio e Protasio,
e i brandelli, l’olio, la polvere, la cera,
nel marmo, nel vetro, nel cristallo.
Artefatto del piede, di una mano.
Oro e gemme. E il frammento.
Il braccio, è diventato…
braccio distante, nella meraviglia.
Lembo, corporeo parlante. E lo sfarzo.
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Reliquiari 6
mummie
Nella teca, il disseccamento naturale.
Un vento e l’asciuttezza, il congelamento.
Raggrinzito viso, rinsecchito. Cartonata pelle.
Testa dell’omero. Buchi, celle di porosità.
Carpo, ulna, radio. Fratture. Cartonata pelle.
Abrasioni, usura, carie, nelle corone.
Sullo smalto dei denti, nel cristallo dei denti.
* * *
Lo scheletro del tarso
si allunga e si restringe.
Steli di capelvenere,
steli di viola farfalla.
Steli di erica, licheni,
licheni abbarbicati.
* * *
Non sento niente. Verrà il fegato con i suoi spilli,
o un polmone rauco, labbra addossate alla mandibola.
Ti ho baciata piano, dopo le donne.
Ti ho baciata piano, prima delle donne.
Sono stati porpora gli anni, e a nodi sullo sterno.
Si staccavano figure dal cervello, e un altro orrore.
E’ passata la vecchia di Trasaghis con le zolle bianche.
Non ho nulla, soltanto quello.
* * *
Era la madre e sua madre, nel ricordo.
Risentiva parole, nelle proprie parole.
Io, soffio addensato a un’ombra di cera,
a un’ombra di sagoma…
Velame di posti. Viti, uova, radicchio,
aringhe, polenta. Maria, la nonna.
Viti di viti, uova di uova…
Carezzevole buio, sì, sono io.
* * *
physical dimensions
Erano le fiabe, l’esterno.
Bisbigli, fasce, dissolvenze.
L’esterno dell’esterno
qualcosa ascolta.
Qui.
Oh.
Mario Benedetti
tratto da “Pitture nere su carta” (Mondadori, 2008)
fonte: http://www.carmillaonline.com/2009/01/13/mario-benedetti-pitture-nere-su-carta/