Nel 1979, a diciotto anni, Caterina Saviane è già un’autrice di successo. Ha esordito con Ore perse. Vivere a sedici anni, nella collana Franchi Narratori di Feltrinelli, e il libro, tradotto anche all’estero, è arrivato alla quinta edizione in un anno.[…] Oltre a Ore perse Caterina ci ha lasciato una quarantina di poesie, cinque delle quali pubblicate nel 1985 sulla rivista Il lettore di provincia e una scelta raccolta in un’edizione privata da un gruppo di amici nel 2001, a dieci anni dalla morte, con il titolo Appénna-Ammattìta, la prima poesia dell’indice stabilito dall’autrice nel dattiloscritto originale. Caterina avrebbe optato per la prosa o per la poesia? Coltivato entrambe? Sarebbe diventata una scrittrice o una poetessa importante? Di certo sappiamo che era dotata di un sicuro talento e che per sua esplicita dichiarazione, aveva stretto con se stessa «un patto più forte di quello con il diavolo: scrivere e ancora scrivere, fino all’esaurimento». Le era già molto chiaro come fosse inutile cercare di liberarsi della poesia, una volta che la scopri dentro di te come un petulante “pensiero innato”, seppure non le fosse estraneo il dubbio che stessero meglio quelli che non correvano questo rischio. La necessità dell’esistere e quella del creare si confrontano, s’inseguono, si confondono in un «movimento ciclonico incontenibile» come le scrisse Andrea Zanzotto, dopo aver letto e notato le poche poesie pubblicate sulla rivista, che travolge la materia, la trasforma in continuazione da euforia spavalda a grumo di dolore, da festa indiavolata a vuoti desolati. Camminava saltellando, si sarebbe detto che i marciapiedi fossero elastici sotto i suoi piedi, aveva un’energia inesauribile e il potere di far sentire chi le stava accanto pavido, comune, banale, una sentina di miserabili aspirazioni borghesi. Doveva essere lei la più scandalosa, la più indecente, la più eretica, in una febbrile rincorsa a significati ulteriori fino all’impossibile: «[…] elica spacca | ed abbia sete di me tantalica – ché mai s’acquèti…». Lo scarto dalla norma linguistica, ma anche esistenziale, è compiuto nello sforzo incessante di penetrare in una verità che le parole nascondono dietro la mistificazione dell’uso comune, delle convenzioni grafiche e sonore. Caterina muore precocemente nel 1991. Negli ultimi, tormentosissimi anni Caterina vive tra la casa del padre, Sergio Saviane, giornalista de L’Espresso e tra i fondatori de Il Male, i frequenti ricoveri in cliniche e l’ospitalità degli amici, fino all’overdose, volontaria o accidentale nessuno lo saprà mai, che le è costata la vita.
(Dall’introduzione di Maria Pace Ottieri)
3 testi dal libro
*
Pin Occhio
“Tu ricordi come si stia là dentro
perché (il lì indica in su, come l’accento: ma
[il “là”
indica là, come dito indice – lo specchio.)
Ti ricordi, dunque, come si stia là dentro
Come dentro a una notte tropicale, che inviti costantamente
al vizio.Il vizio
Che si fa – fatale! Un vizio esaltato dal calore
– come un odore al sole.
Come dentro una notte tropicale,
come dentro la materia, si stà così, a spiare
l’idea che, ancora innata:
NASCERÀ NASCERÀ NASCERÀ
*
Appénna-ammattìta
– spezzando con macchina per – da scrivere –
smarrito il ritmo della separazione
perduto ho io [il filo del discorso
– filologico, filo logico
fili d’erba, smeraldo e di tram
trancio d’arancio –
di sempre in mai
di palo in frasca
in tasca mi toccaccio il filòs greco
e che strage sia del tempo d’ora.
Perciò:
toccaccio il sordìso della conversazione
l’azzurro-uomo degl’occhi tuoi
perché la notte ci alzavamo
a mentire a dir bugìe
che ci gridammo
“pazzi!” nel sentire gioia
del sòrdido sprecare il sonno
giunse:
sfatti di “ero brava” – come certi vecchi di sé –
in memoria dell’eburnea pista
– ballo’s di sballantine’s –
– facile piacere parlare altrove –
e unici illuminémmo esser pensànti:
coro di pensieri di cervelli
asma d’idee,
ci punse il core degli uccelli.
Alba e tramonto e primavera desiderammo primi
il sonno ancorà,
ancòra di salvezza
già assenza di non [tornare quivi].
*
[Dài, ti prego, tiénimi compagnia]
Dài, ti prego, tiénimi compagnia,
stanotte – metti che io muoia –
stanotte – che sia l’ultima notte
la più bella? – che muoia.
poesie tratte da “Appénna ammattìta” di Caterina Saviane (1961-1991), a cura di Maria Pace Ottieri, Nottetempo Edizioni, collana Poeti.com, 2015