MORTA IN PUGLIA
Quando seppe l’aumento del prezzo dei pomodori
capì che il tempo dei palpiti era finito.
Imparò a brontolare
e a mettere le mani nella liscivia bollente.
Nella casa imbiancata da poco tempo
ardeva su una parete
un serto di pepe diavolo per i maschi.
All’alba un muratore uscì tossendo
e chiuse l’uscio di casa,
le foglie di limone dentro il cuscino
ricordarono un sole di giallo d’ossa.
Morta, non morire di più.
Ricordati delle ulive nere.
Lucida le maniglie e annaffia i garofani.
Dimentica che i vetri delle finestre
si lavano con acqua e aceto;
che le macchie sui vestiti scuri
si tolgono con la posa del caffe.
Non è più la tua mano che destina ad altro uso
la cera ancora molle dei candelieri
o che scalda sul gas la cioccolata dei morti.
Risorgi nell’Inutile, morta in Puglia:
nei coralli del mare o negli urli del vento
nella tua terra d’ostriche e di lupi mannari.
QUANDO FU L’ORA
Quando fu l’ora
gli orologi avevano perduto la voce
e la pietra lunare del cui bagliore
sinistro s’era nutrito il mio esilio
scivolò in mare dove qualcuno
un giorno la troverà, qualcuno che invidio
perché sarà come me triste e ilare
quand’io non potrò più esserlo. Camminerà sulle rive
dei miei pensieri di ora
credendo d’essere solo, solo e diverso,
e un giorno, dopo una pioggia, in una grotta del cielo
vedrà un celeste, limpido e disperato
(limpido e disperato amore mio!)
e lì potrebbe scorgere, mestamente confuse,
le tracce dei miei passi nell’infinito.
QUANTA RABBIA DI ESISTERE
Quanta rabbia di esistere diventa amore!
E qui bisognerebbe addurre casi, narrare
e anche narrarsi, scegliersi negli specchi
di foglie, d’acqua, di neve. Io una volta volevo
sapere come può ridere nella luna
la testa d’un lutrino dalla spina scarnita
– cosa avrebbe pensato di quella vista la luna -,
e questo desiderio era amore. Folletti che avevano
un buffo berrettuccio di capelli
attorcevano in trecce le code delle cavalle.
In una piccola via dal nome di un’oscura battaglia,
lì essa pensò che l’avrei uccisa.
Ora lontana essa ride di tutto ciò,
mentre ubbriaca guarda nel fondo d’un bicchiere o del mare.
Ma la distanza può allungarsi a piacere,
sa fare d’un rimorso una vaga ipotesi.
Oh, vi sarete fermati anche voi qualche volta di notte
sotto un balcone o un albero,
udendo il grillo italico cantare,
e a quel brusco interrompersi dei vostri passi
schiudere false rughe, spingere come lontano
da sé il canto, o tacere
e subito riprendere da un altro punto illusorio.
QUANDO TORNAI AL MIO PAESE NEL SUD
Quando tornai al mio paese nel Sud
dove ogni cosa, ogni attimo del passato
somiglia a quei terribili polsi di morti
che ogni volta rispuntano dalle zolle
e stancano le pale eternamente implacati,
compresi allora perché ti dovevo perdere:
qui s’era fatto il mio volto, lontano da te,
e il tuo, in altri paesi in cui non posso pensare.
Quando tornai al mio paese nel Sud,
io mi sentivo morire.
STO DAVANTI ALLA TUA CAVERNA
Sto davanti alla tua caverna.
Esci fuori e arrenditi.
Noi abbiamo la sintassi e la radio,
i giornali e il telegrafo,
e tu non vivi che del mio sonno,
non hai che la roccia a cui ti tieni abbrancato,
e per farmi dispetto
non mi rispondi nemmeno.
BIO: