SVETLANA KEKOVA – 6 POESIE TRATTE DA “POETI RUSSI OGGI” (TRADUZIONE DI ANNELISA ALLEVA, SCHEIWILLER, 2008)

 

 

kekova

 

***

La vita che sbatte sul selciato somiglia a una lattina.
Metterò una digitale in un barattolo con l’erbaccia,

perché la digitale attira mosche e zanzare.
Nel campo una contadina raccoglie piume d’uccello.

Affinché non vengano elfi e rusalche
bisogna estrarre dalla terra profanata la radice della malva,

prendere un canovaccio di lino, far uscire da dietro le nuvole il sole,
mettere una chiave di ferro nella culla di un neonato che dorme,

e, dominando il richiamo della carne, superare sgomento e paura
del resto Iosif Brodskij vive in solitudine sui monti,

raccoglie i semprevivi, e prima del sonno ripiega i vestiti
sul bordo del letto nel buio bluastro dei boschi,

sfilate le fasce dai piedi stanchi, ripone in un angolo gli stivali…
Nel frattempo le egiziane, nude e indifese,

senza turbare il sonno degli animali nel giardino zoologico
dormono, immegendo la loro pelle nel seme dolce maschile.

Dalla Russia al Kuwait, da Sverdvlosk ai Balcani
piange il flauto greco, dalla terra spunta la maranta,

la sanguisorba sboccia, il sambuco si copre di brina,
e si vede l’altura del Golgota dalla finestra mongolica.

***

Ecco, l’uomo vive in mezzo alle cose:
comò, armadi e impermeabili,
che li abitano, fra le pieghe delle tende,
lui rispetta un ordine e una misura,
a cena mangia una minestra di cavoli,
e ha un sonno dolce e affannoso.

Ha nome Lui quest’uomo.
Quando dorme, l’oscurità è violetta.
Fa, come al solito, il sogno profetico
che il suo spirito voli in qualche luogo,
e che lui viva in mezzo ad altri oggetti.

Là un mantello, come un corvo, le ali spiegate,
volteggia in alto e non perde d’occhio la carogna.
Il corpo viene buttato in un letto, come su una pira,
ed ecco che al limite fra paradiso, forse, e inferno,
beato e allo stesso tempo sofferente,
si contorce così tanto, patisce una tale tortura
che il ragnetto dal cuore tenero s’impegna
a tessergli con il suo filo un lenzuolo funebre.

I dubbi assillano, come cani legati,
l’amore passa, simile a un dolore alla nuca,
l’orologio silenzioso resta sulla mensola,
brillano in un angolo le bottiglie vuote.

E Lui vede sembianze di visi,
sembianze di anime nelle pieghe fisiche dei tessuti,
ma i corpi non hanno confini precisi,
né le anime lineamenti esatti.

Perché sussurri che l’anima fa male?
Se il vento metterà l’anima a nudo
come l’essenza delle cose,
la passione sarà peccaminosa,
la vita innocente, e la morte avrà libero accesso.

E a quel punto che cosa sazierà la mia sete?

***

Lo zar siede sul trono, come sulle ossa.
Attorno a lui il mondo verticale degli oggetti.
E il bordone dello zar è forte come Rachmetov,
quando dorme sui classici chiodi
a edificazione della gioventù. Un forziere –
che, come trono, è là dove troneggia lo zar, –
contiene argento nel suo ventre di quercia.
Attorno al suo cranio si aggira una bestia,
e a questa, come alla progenitrice Eva,
il potente bastone assesterà un colpo.
Il serpente del Vecchio Testamento sta sull’albero,
e afferra i nostri pensieri come un radar.
Una talpa cieca invece vive nella terra verminosa,
si è scavata nel mondo una tana nera
e ci si è ficcata dentro come in una scorza,
nello spazio fra il prugno e il melo.

da “Clessidra” (1995)

***

Là vivevano lunedì e mercoledì.
Mercoledì amava i piccoli oggetti:
aghi, chiodi, buchi nel soffitto.
Invece lunedì qualche volta piangeva,
e di domenica aveva un triste aspetto.
I topi silenziosi ruzzavano nell’angolino –
i figli cattivi dalle code lunghe –
e nascondevano briciole in mano.

L’acqua si rimescola nel fiume.
Gli amanti si scambiano le croci.

Ecco. il pesce si agita dentro il pescatore
che ha dentro i resti del corpo arrostito.
Sul piatto piano brillano le scaglie.
Il pescatore se ne sta con il berretto da buffone,
l’anima vola via dove voleva lei,
e non dove volevo io.

Le vengono incontro martedì e giovedì,
i fuochi d’artificio di Dio del temporale
di luglio, un picchio folle, una perla di fiume.

Là uno stormo è leggero come il singhiozzo di un bambino,
e lungo la terraferma si snoda impressa una carovana
di pesci del Vecchio Testamento, che non serve più a niente.

da “Lettere brevi” (1999)

***

…io aspiravo a soffrire e a essere dimenticata,
diceva la monaca sommessamente
e baciava la terra, sulla quale incedeva
il suo piede di educatrice. L’inverno
era senza neve. La mattina il gelo
tracciava arabeschi sui vetri in silenzio,
ma verso mezzogiorno si scioglievano i miraggi
della foresta tropicale. Le finestre della chiesa
lasciavano entrare il sole, e i suoi raggi
sfioravano con delicatezza le candele accese.
E un silenzio da mendicante stava presso l’altare
in piedi, mentre, inginocchiato lì davanti,
un umile pastore innalzava le sue preghiere
per il mondo peccatore, per le anime di tutti i vivi
e di tutti i defunti…

 
***

Se salissimo sulle colline della tristezza
potremmo rivedere insieme con te
nell’acqua, che ribolle di sette sorgenti,
agitarsi i pesci con sette pinne.

I sogni sono diventati più lunghi, e i giorni più corti,
l’erba della carice più tagliente di un rasoio,
e le bestie mute nella moschea della notte
dicono le preghiere in ginocchio e zitte.

Come brilla l’acqua santa nel pozzo!
Il pioppo s’è avvolto nel fogliame, come in una toga…

Ricordi, su per la collina del carbone in Cina,
quando trovammo la strada col favore della notte?

Ma loro, i cinesi, hanno le loro leggi
e i loro draghi nelle diramazioni montuose,
e fanno profondi inchini alla maniera loro
e accolgono il sole in nere vesti sontuose.

Puoi diventare più alto di un gomito?
O, magari, diventare un blocco di pietra?
Ricorda piuttosto come accolse l’apostolo
l’Ospite di riguarda con il pesce arrosto…

 
da “Sui sette colli” (2001)

6 poesie di Svetlana Kekova,
traduzione di Annelisa Alleva (in Poeti russi oggi, Scheiwiller, 2008)

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