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Come ti spieghi e manchi a questa
terra a quelle nubi. Non so le case
le braccia dove, ché per ragione
o frutto ogni galassia preme.
Non per Dio, non per le domeniche
– fatti di messe e culto, ecco dici
io per mastice ti do un figlio
e un tempo d’altra vita avviene.
Ma come ti spieghi e manchi
non per terra, non per nubi
ti siedi e piangi di questa genesi
e rendi lode a Dio
se hai acquistato un frutto.
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Tu, che rifai vergine questa mia
pianura e il mare solo per sentito dire.
Nel solco tuo – nella fessura – tengo
le mani giunte
come a chiedere una conca
un fonte battesimale
dove nascere daccapo
a Dio e, Dio volendo,
mettere la chioma
sopra il cielo e il cielo sotto
la radice
per stare con te in terra
come in paradiso.
***
Sentire un peso – l’ottava parte
di un grammo – e tu che dall’altra
parte mi pareggi se cedo
un lascito di cose estive prese
in prestito ogni volta che ti penso.
Sei già più grande di me
che sembro appena nato
ed è tutta mia questa moltitudine
di giorni da colmare – che pare
ci sia vento sempre
e sempre qualcosa da dire.
Io me ne starei con te, non fosse
tutta in cielo l’anima che posso,
perché è come amare un frutto
quando cade, se poi la terra
si dimostra.
***
C’è un presidio d’api e un pozzo
artificiale nel campo dietro casa,
qualcosa che si tiene stretta
come ruggine sui pali.
Varrebbe la pena restare fuori
a guardare il cielo guastarsi
per uno sputo; varrebbe – sì – tagliarsi
dal fianco di un’ombra e mirare
al sonno delle campagne. Ma
per ragione d’ettari, qui
non attecchisce il mare
e si affatica la mano che tira
sarmenti dal fianco di una fiumara.
in copertina: Calendula, di Jeremy Miranda