FRANCESCA SERRAGNOLI – Sei testi tratti da “La quasi notte” (MC Edizioni, Milano 2020)

***
 
Morire nella distanza
nel prato laggiù il colore vola via
il fiore fissa sgomento
l’animale ferito della sua ombra.
 
O mischiare ogni ora alla cenere
cucinare un pane morente
scavare dopo che è crollata
anche la propria stessa mano
 
l’alato desiderio dal profilo di rondine
sbuca dalla terra
l’occhio spalancato senza vita,
senza morte.
 
 
***
 
Nessuno mi vuole come madre
mi guardano e non parlano
con occhi celesti o marroni
battono le mani sulle ginocchia
e corrono scalzi
negli ingressi luminosi.
 
 
***
 
Un giglio d’acqua fra le ciglia
le radici spaccano il viso alla pioggia
chiamano il cielo
come un gatto struscia il blu al suo Dio
la zampa gioca agli occhi
o è una buffonata il pianto
e un catetere desolante lo raccoglie?
 
Gli occhi spaccati in due
e un funambolo tra le travi attraversa il grido
è la vita all’altezza della vita
nelle mani null’altro.
 
 
***
 
Pestare la tua bocca
come foglie rosse di una siepe recisa
o guardare qualcuno
che ridendo scarabocchia la morte
che ha visto Dio e la vita
a tirare corde di campane
come se il tempo impiccato
morisse in una musica.
 
 
***
 
Denudata di ogni altezza
la tua voce invoca
argine e piena
come avesse ingoiato un disastro
o un miracolo
 
e la fiamma di un fiore
curvasse
a baciarti metà volto
e lo sguardo muovesse le ali
per rimanere e andare
nello stesso identico scatto
 
come la donna ballando
getta il volto al destino
fra i tuoi occhi e il fiore
la neve accende una candela
 
volevo scavare intorno alla fiamma
un fossato, un fiume
che ricongiungesse le tue mani nella folla
ma le foglie ti cadono così divinamente.
 
 
***
 
La profondità del lago mi fissa
la superficie vibra battuta da un ventaglio
come il salice vorrebbe sfiorare l’acqua
la mia ombra s’inclina
l’infinito è quel centimetro enorme
sgualcito dove la vita spinge
la testa per passare
 
nella stanza l’arazzo lava i miei colori
un panno che mani bianche
alzano e abbassano da un cesto
scendere ricorda i movimenti di una culla
risalire ha la bruciante paura dell’acqua
di evaporare, diventare niente
 
il sole scuce la rosa del volto
l’orlo increspato di un vestito
l’onda è vapore, salsedine
goccia che riconosce una spalla non sua
l’oro blu della quasi notte, nient’altro
dà al fiore l’ultimo tremito.

 

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