SAINT-JOHN PERSE
(da Anabase, 1924), traduzione di Giuseppe Ungaretti
… In veste pura fra voi. Per un anno ancora fra voi. «La mia gloria è sui mari, la mia forza fra voi!
Ai nostri destini promesso questo soffio d’altre rive e, portando oltre le semenze del tempo, il bagliore d’un secolo sul suo apice al raggio delle bilance…»
Matematiche sospese alle banchiglie del sale! Al punto sensibile della mia fronte dove il poema si stabilisce, inscrivo questo canto di tutto un popolo, il più ebro,
traente ai nostri cantieri carene immortali!
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Cos’è poesia? Chi potrebbe definirlo un brano impoetico? Eppure il discorso non si svolge in versi. Diciamocelo francamente: Saint-John Perse è un grande lirico. E (Leopardi docet) la vera poesia – la sola possibile – è lirica. In Perse, com’è stato giustamente notato, c’è sia il «lirismo prosodico» che il «lirismo fondamentale della concezione organizzatrice». E questo avviene anche nelle sue opere più epiche, Anabase fra tutte. Pare, e ne sono felice, che la tradizione dei poèmes en prose resista ancora oggi, persino in Italia. In fin dei conti sono il ritmo, il respiro, la musica, il concetto a determinare il “poetico”, non di certo l’impostazione grafica del testo. – E il mare, il mare! «Mistero gioioso e triste degli arrivi e delle partenze», ci rende stranieri e presenti a noi stessi. Così noi spingiamo quelle «carene immortali» chiedendoci a cosa si riferisca l’autore quando parla di «popolo». È l’umanità ideale che vive in illo tempore, sempre, fatalmente, in viaggio?
Sergio Bertolino