Anteprima editoriale – GIUSEPPE TODISCO – “Si prega girati di schiena” (collana Sottotraccia, a cura di Antonio Bux, Marco Saya Edizioni, Milano 2020)

Approfitto di questo spazio, oggi, non solo per presentare l’ultima opera in uscita nella collana che dirigo; ma anche per trarre un bilancio dopo quasi cinque anni di lavoro di ricerca.
 
Con questa, siamo alla dodicesima uscita. Un percorso minimale e accurato, senza esuberi, e con una visione quanto più possibile vicina a tutti i campi di ricerca contemporanea, specie nei confronti di autori sconosciuti o emergenti. Come nel caso di questa ultima uscita.
 
Ebbene sì, ancora un libro d’esordio per la collana Sottotraccia, che dirigo ormai, come dicevo, da cinque anni per le Marco Saya Edizioni.
 
Proprio nell’aprile del 2015 usciva il primo numero della collana: “Nel rovescio del perdono” di Bruno Lugano, autore toscano che purtroppo ci ha lasciati poco tempo fa (Bruno, nonostante avesse passato i 75 anni, aveva esordito proprio con quel bel libro).
 
Da allora, si sono succedute altre dieci uscite; tra queste, ben sei di autori esordienti (“Capelvenere” di Andrea Gruccia; “Riparare il viola” di Giorgia Meriggi; “Nevicherà sul mare” di Lalli; “El silensi d’i föj druâ” di Davide Romagnoli; “La vita così com’è” di Valentina Murrocu; “Urla la fine che pianta germogli” di Letizia di Cagno).
 
Se a queste sei sommiamo la prima di Lugano e l’ultima, ovvero “Si prega girati di schiena” di Giuseppe Todisco, parliamo di ben otto libri, su dodici, di autori assolutamente esordienti.
 
E se a questo aggiungo che altri due libri della collana (ovvero “La camiceria brillante dei miei anni” di Simona De Salvo, e “Charlie” di Gino Giacomo Viti) sono da considerare come dei semi-esordi (dato che i rispettivi autori avevano dato alle stampe qualche anno prima solo una raccolta a testa, peraltro dagli stessi “rinnegata”, a tal punto da considerare l’opera con me pubblicata come proprio primo libro effettivo), si fa presto a capire come il titolo della collana  stia a rappresentare bene il senso della stessa; ovvero quell’indagine volta a scovare, nell’immenso substrato letterario odierno, quelle rare perle che, giocoforza, e a fatica, vi si annidano qui e là ogni tanto. 
 
Un’indagine, questa, non vana: con risultati, anche di critica, molto soddisfacenti, tali da far affermare la collana come la punta di diamante della casa editrice; casa editrice tra le più ambite ormai dai poeti, e tra le pochissime realtà senza contributo (ci tengo a precisarlo) tra le migliaia di case editrici di poesia del panorama indipendente.
 
Penso che la ricerca stia dando i suoi frutti.
 
In conclusione, escludendo il mio libro “Sativi”, facente parte della collana, resta il giovanissimo e prolifico, nonché bravissimo e già molto conosciuto, Gabriele Galloni, undicesima uscita della serie, con il suo quarto libro di poesia, che probabilmente risulta essere il più denso e maturo, dal titolo “L’estate del mondo”, che ben sta figurando nel panorama poetico degli ultimi tempi.
 
E ora tocca, proprio ad un passo dal festeggiare i cinque anni della collana, a Giuseppe Todisco con questo suo agile ma intenso e ultra contemporaneo tomo, continuare sulla strada tracciata sin ora. Glielo auguro di cuore.
 
A lui e a tutti gli autori un grazie per avermi concesso l’opportunità di pubblicarli, e soprattutto un in bocca al lupo per il futuro delle loro opere, sia presenti che future.
 
E ovviamente grazie all’editore Marco Saya, che non solo mi ha fatto esordire nel 2012 col mio primo libro di poesia, ma mi ha anche dato modo, da ormai cinque anni, di fondare e dirigere questa collana, in sua stretta collaborazione.
 
E grazie anche a voi lettori e amici, per seguirci con tanta curiosità e passione. E scusate se mi sono dilungato, ma era un atto doveroso.
 
Allora, che altro aggiungere: Buon compleanno collana “Sottotraccia”!!! 🙂
 
E ora festeggiamo, con l’anteprima del libro di Giuseppe Todisco, di imminente pubblicazione.
 
Grazie a tutti! 🙂
 
 
Antonio Bux
 


tre poesie tratte da “Si prega girati di schiena” di Giuseppe Todisco (Marco Saya Edizioni, 2020)
 
 
 
***
 
Ripensavo all’idea di tenere dei platani
in giardino – metti che viene qualcosa
giù dal cielo e non ce ne accorgiamo.
 
Gira la terra e mi giro dall’altra parte
solo per restare fermo e con un giorno
di ritardo chiederti se c’è ancora speranza
per giungere a domani.
 
Io per sempre, tu per quelle rose
che hai piantato, e il quesito si sposta
dal tempo allo spazio che occupiamo.
 
Però mia madre ha uno strano modo
di fare figli, che non mi fa sentire
il salto da un destino all’altro.
 
Ecco perché i platani, pensavo. Come se
bastasse un punto per capire dove siamo.
E invece lo sanno gli alberi che ci vuole
almeno un’ombra, perché la luce esiste
solo quando incontra i rami.
 
 
***
 
La volta che ho sconfitto nostro padre,
l’ansia di mirare all’osso.
“È un sollievo che sia per mano tua”.
 
Franco tagliava per i campi,
diceva che c’è il diavolo
oltre il muro della scuola.
Sotto gli alberi che fa un nido
gli abbiamo visto crescere le corna.
 
“Di che colore fai la solitudine, bianco”.
 
Era un uomo affacciato alla finestra
quel cielo venuto male.
Era per sentire le trame dentro gli occhi
che mettevo il verde ai bordi delle strade.
Più di quante volte possa dire olmo
quelle case messe a specchio, dove si può compiere
il miracolo stando fermi l’ombra che si muove.
 
Franco dice che il diavolo ci ha già presi a cuore.
 
La notte che veniva fuori l’osso, il bianco
da ricominciare: l’ansia di mirargli addosso.
Quello era nostro padre.
 
 
***
 
Forse non sai, Irene
che si prega girati di schiena
e per sopravvivere bisogna amarsi
come i preti amano le ostie.
Dico forse, perché ti guardo
mentre studi i cromosomi
e invano cerchi qualcosa
che giustifichi il perdono.
Forse non sai, Irene
che nella migliore delle ipotesi
il nome di Dio lo impari a memoria
digitando interurbane dai telefoni a gettone.
Tu mi fai tornare in mente
lo spessore delle lettere imbucate,
gli indirizzi scritti a margine,
il sapore dei francobolli.
Ed è così che ti vorrei leccare
e spedirti chissà dove
ignorando confini e carte coloniali;
vorrei leccarti fino ai mitocondri
per capire se quel modo che hai
di mettere ordine tra le cose
lo hai ereditato da tua madre
oppure dai supermercati.
Lasciami qualcosa di tuo, Irene
perché verrà il regno
quando saremo tutti uguali
e allora non potrò distinguerti
come nel corpo di Cristo
non si distinguono le ossa.
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