***
Nelle quattro pareti quattro
dove sono nata non c’era polvere. Non c’era
tempo per farsi le ossa e incenerirle nei posacenere,
nemmeno entrava dalle finestre la fuliggine degli operai
morti, perché noi stavamo chiusi eravamo sacri, una
preghiera per gli altri
in ginocchio a lavare tutto, guardare le nostre facce
tonde nelle mattonelle rotte
che non specchiavano mai.
***
E sento ancora due colpi in fila,
sembra un tonfo un buco aperto e
poi chiuso sul bossolo, la terra se lo mangia
per dimenticarlo.
Solo l’orecchio ode in lontananza – non è la vita
dicono – fa male per un nulla un niente
e muore solo chi deve, gli storni
troppo evidenti a muoversi come maree,
sulla palude immaginaria agli occhi.
Sparano ancora, e io ascolto
mi ritrovo bambina nel bosco, il bastone è pesante
per tenere i serpenti nei buchi, mai visti
non ricordo un morso, sono leggende per pavidi
per me, che ho paura dei fruscii più delle bestie
o del cacciatore mascherato da albero,
con due tronchi divisi per gambe e uno stomaco solo
a digerire la morte.
Anima mia fossi un’ala che riposa sull’aria
da “La lingua della città” (inedito).
***
Guardarsi dentro, trovare cosa.
Sentire la città, i suoi cani innocenti
le piazze periferiche e nessuna bellezza da dimostrare,
quattro alberi in croce a ricordare la volontà di Dio,
i portoni sporchi a riflettere l’estraneità.
Si ferma a questo il coraggio.
***
La città non mi ha insegnato la sua lingua,
non ho voluto impararla, fa paura
ascoltare il suono dell’abisso,
il buio nella gola che chiama.
Quella è la voce della città quando chiama,
la notte è come il giorno, la luce si chiude
alle palpebre, e i bambini tra le mani
chiedono la luna amano la vita. Noi no,
siamo sabbia che vorremmo sommersa.
***
La pelle è il ritratto delle stagioni,
l’estate ci dimentica, soffoca le telline
sotto piedi avidi a ripa di mare.
Fa male essere bambini,
usare maschere vedere l’abisso
poi emergere come esseri umani.
Il tempo porta l’eco delle risa a riva,
comanda alle mani invecchiate dall’acqua
di sciogliere al sale le nostre squame.
Prega di avere ragione.
Mara Venuto è nata a Taranto, e vive a Ostuni. Ha pubblicato, tra l’altro, la raccolta di racconti/monologhi Leggimi nei pensieri (Cicorivolta Edizioni, 2008), il monologo teatrale The Monster (Edit@ Casa Editrice Libraria 2016), e le raccolte poetiche Gli impermeabili (Edit@ Casa Editrice Libraria 2016), e Questa polvere la sparge il vento (Edit@ Casa Editrice Libraria 2019).