La pelle ha parlato. Dalle sue pieghe ogni parola è stata
udita. Dapprima una voce forte di donna matura, poi
piú flebile, quasi un sussurro di bimba. Nel buio le carezze
si disperdono, restano muti gesti rubati alle stelle,
l’ombra delle dita sugli occhi feriti dal vento. Attorno è
musica, una pioggia sottile di petali. Le api a sciami dalla
bocca, verso l’oro del giorno.
*
Il volto avvolto dalle fiamme s’abbruna come carta
nel camino che il fuoco prende del suo moto verticale
rosso sangue per le pietre. Arde puro d’una estrema bellezza
senza versare lacrime e come illeso, per un istante,
nell’enigma della vista, poi il calore lo morde agli occhi
nella calda notte e trema al crepitio della cenere l’osso
dell’immagine.
*
Vederti è bruciare di quel fuoco che incendia l’aria
tutt’attorno alla luce dei tuoi occhi, cristalli rubati ai
diamanti africani. Le mani vorrebbero toccare, ma la
luce si ritrae impalpabile. Sfiorano l’aria che imbeve di
te ogni soffio. Che parola sospesa è la luce. Nel volto sono
febbre che ghiaccia verso un sud cui mi chiami.
*
Sei in ogni angolo, in ogni viso, in ogni stanza. A volte
sei la macchia d’umido sui muri, il velo di polvere sul
vetro, altre il tonfo muto del sasso dentro il pozzo. Vibra
al centro, attorno sento muovere, nella radura. Restano
orme pesanti a terra, sull’erba bagnata, suoni di
guerra, detriti, scorie di miti.
*
Il cielo sfiora i capelli sulla cresta di un monte. Le nubi
scivolano basse su macchie di faggi. Sulla fronte liscia
la rugiada disegna tre righe convergenti in un punto.
Lí sono a suggere l’umido dagli occhi in avida attesa.
Piú giú le guance rosse, l’incanto degli zigomi, la “L”
tesa della mascella.
*
La pelle, i pori, le cellule febbrili, seta preziosa d’oriente.
Un mondo pulsa sotto il derma, vasi sanguigni,
tessuti, nervi, ghiandole segrete abitano il buio ctonio
del corpo, nuda stele nel deserto di carne. Cos’è che
muove le sopracciglia verso l’alto, che gnomi ti hanno
dormito sulle palpebre? Se il viso s’inarca in una ruga
sottile stretta come una gola tra le rocce.
*
Guardo il cielo, le nubi correre veloci, radere le cime.
Bianche sui rami ritti, piú scure all’orizzonte, ma d’un
blu cobalto da cui filtrano raggi malati di sole. Cosí le
mie parole su te che ora sei d’erba e chiami ogni libellula
a raccolta. Viva morte del verde, cuore sferzato dal
vento. L’albero che non sono ti dorme accanto.
*
Il taglio orizzontale degli occhi solcati dalla seta. Dal
centro s’irradia una luce iridata che inventa il mondo a
ogni battito di ciglia. L’azzurro che sei guardando l’obiettivo
di una macchinetta della stazione e come un velo
di pianto a bagnare la carta: « Je te vois » (scritto a
mano sul retro, sul vetro illeggibile, ora nell’aria).
*
La foto tagliata. Due occhi vivi senza volto che tremano
tra le mani. Sentirne il peso sui palmi, stringerne
il tanto che hanno visto del mondo, di me, che non sono
stato che per quegli occhi.
Fabio Scotto
da La nudità del vestito (Nuova Editrice Magenta, Varese 2018)
Fabio Scotto è nato a La Spezia nel 1959 e vive a Varese. Ha pubblicato le raccolte Il grido viola (Edizioni del Leone 1988), Il bosco di Velate (Edizioni del Leone 1991), La dolce ferita (Caramanica 1999), Genetliaco (Passigli 2000), L’intoccabile (Passigli 2004), Bocca segreta (Passigli 2008), La Grecia è morta e altre poesie (Passigli 2013), In amore (Passigli 2016) e le prose di A riva (Nuova Editrice Magenta 2009), oltre a numerosi libri d’artista. Suoi testi e volumi sono tradotti in varie lingue. Ha tradotto Hugo, Vigny, Villiers de l’Isle-Adam, Apollinaire, Bernard Noël, Yves Bonnefoy, di cui ha tra l’altro curato per Mondadori il Meridiano L’opera poetica (2010); sua è l’edizione dell’antologia Nuovi poeti francesi (Einaudi 2011). Critico letterario e saggista, è autore di vari studi sulla letteratura francese tra Settecento e Novecento. Insegna Letteratura francese all’Università degli Studi di Bergamo.