
ANTEPRIMA EDITORIALE
ANITA NAIR – CUORE DI MALABAR
(traduzione e cura di Francesca Diano; KĒLEN n.2, collana di poesia internazionale diretta da Antonio Bux, Marco Saya Edizioni, Milano 2018; pp. 240, euro 18)
Chi legge la prosa di Anita Nair si accorge presto che non è solo una romanziera e prosatrice sapiente, ma può percepire, serpeggiante sotto la robusta struttura dei suoi testi, una vena lirica e poetica che emerge a tratti con grande forza e ruba la scena. Un traduttore, e in particolare chi come me abbia avuto la fortuna di seguire l’autore fin dai suoi esordi, questo lo nota subito. Ci sono momenti in cui lo stile si fa improvvisamente più alto, cantante, ed ecco hai quasi di fronte dei petits poèmes en prose incastonati nel testo e mi è accaduto, in quei momenti, di sentirmi trascinata dalla lingua in una dimensione diversa, vibrante a un diverso registro. Nessuno quanto un traduttore infatti ha la possibilità, il privilegio direi, di penetrare nei meccanismi più profondi della scrittura di un autore e di osservare la formazione stessa del processo creativo; il suo costruirsi, il suo dispiegarsi fino a raggiungere la sua forma compiuta. Dunque non deve meravigliare se Anita Nair è anche autrice di testi poetici, raccolti e pubblicati per la prima volta nel 2002 col titolo di Malabar Mind (Cuore di Malabar) e, nel 2010, in una nuova edizione per i tipi di Harper Collins India, ma inediti in Italia, se non per alcuni testi da me tradotti e pubblicati online.
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(quarta di copertina, dall’introduzione interna a cura di Francesca Diano)
Possa tu dormire un milione di anni, Shiva
I
Signore dell’universo
Maestro della distruzione,
Sono di fronte a te
Ma non disposto ad essere schiacciato.
Hai mai avvertito
Le ossa di tuo figlio pungerti il palmo?
Hai mai sentito
Il pianto perforante della fame?
II
Ho soddisfatto
Le esigenze del mio appello.
Ho cantato il tuo nome
Milioni e più di volte.
E tuttavia, torneranno i miei avi
Vampiri avidi dei resti della mia colpa.
Ché sanno che abbandonando te
Abbandono loro.
III
Più non raccoglierò fiori d’ibisco,
O nasconderò la nerezza della tua tumescenza
Coi rossi petali della speranza
Che sbocciano, fioriscono e poi muoiono dentro questi
cortili.
Non arderanno lampade, tuo occhio onniveggente.
Il tuo fiato di canfora non strinerà queste pareti.
Mai più io fingerò che tu esista.
I tuoi doni, solo cenere che mi strozza la gola.
IV
Per un’ultima volta
Mi sono immerso nella piscina verde.
Lacrime dei prescelti, come io fui, insozzate di fango.
Per un’ultima volta ho retto il filo che a te mi lega.
Sia dunque questa la mia maledizione nell’addio:
Possa tu vivere prigioniero del tuo sonno.
E quando sarò andato, nessuno ti risvegli
Mai più per te richiamo di campana.