BORIS RYZIJ – “…E così via…” (Ed. Il Ponte del sale, Rovigo 2018)

rizi
BORIS RYZIJ (1974- 2001) – L’ultimo poeta russo
 
Il Ponte del Sale, la casa editrice di Rovigo fondata e diretta da Marco Munaro, è uno dei maggiori editori di poesia in Italia. Ma cosa rende maggiore un editore dall’altro? Il prestigio editorale? La distribuzione? La risonanza mediatica? Il passato, più che il presente, glorioso? No, ciò che rende un editore grande è il suo catalogo, oltre che il coraggio, la perseveranza, la lungimiranza e soprattutto un attento scouting, sempre meno frequente tra i grandi editori. E questo editore, escludendo le collane dove vengono pubblicati i poeti italiani, già di altissimo livello, ha come gemma la collana “Il labirinto del mondo”, ad oggi, secondo me, la maggiore collana di poesia straniera. Svariate le pubblicazioni imprescindibili, non ultima questa opera prima del poeta russo Boris Ryzij, “…E così via…”, abilmente tradotta e curata da Laura Salmon, che ci trasporta in un flusso ritmico e lirico davvero stupefacente, rinforzando quest’opera, restituendole il proprio timbro originale, ridando a questi sonetti la propria energia lirica. Salutiamo dunque con gioia questa importante pubblicazione, che va a colmare un vuoto editoriale di questo grande poeta dei nostri tempi, tragicamente scomparso all’età di ventisette anni nel 2001. Ryzij rappresenta uno tra i maggiori esempi di rivoluzione contemporanea della poesia russa. Un autore che ha vissuto la missione del poeta nella sua totalità più estenuante, immolando totalmente la sua esistenza, in simbiosi quasi tragica con la parola e con il sentire poetico. Era un ragazzo prodigio, Boris, come anche un vero e proprio provocatore: forte alcolista, la breve parabola esistenziale di Ryzij fa di lui un predestinato che ha bruciato le tappe, per inserirsi nel mito contemporaneo come una tra le voci più autentiche e definitive. È come se il poeta avesse vissuto un eterno “Zapoj”, e nei suoi versi questo viaggio onirico ai limiti viene ammorbidito da una sorta di leggerezza divina, come di un bimbo che sa di aver peccato, ma che, proprio per questo, vive con intensità sia il peccato che il perdono. E la sua poesia, sempre in bilico tra l’autentica disperazione e la lucida sonorità civile, esplode in un canto originale che, rifacendosi ai classici, ha portato nuova linfa gergale alla poesia russa, donandole un tono più dissacrante e reale, meno ascetico e sacrale. E lo fa come solo può un vero poeta, vivendo a caro prezzo lo scotto di aver visto la dea più di tutti. Citando dal libro è come se “la poesia uccide solo i poeti autentici; per quanto suoni paradossale, il poeta e la poesia si consumano a vicenda, il poeta si sacrifica per la poesia. Boris esisteva e viveva interamente nella poesia”. Ed è questa interezza, questa integrità morale ed esecutiva, che rende la poesia di Ryzij tanto necessaria quanto estranea alle leggi della società, una società che uccide i propri poeti, e poi li rende liberi di essere per sempre. Ryzij è l’ultimo poeta russo, per eccellenza. Un classico contemporaneo, che in questa sua prima prova (altri e grandi inediti già letti restano qui per ora tali) sento più vicino a certi simbolisti francesi (su tutti Corbière) più che ai suoi amati predecessori connazionali ( anche se non mancano omaggi e similitudini con poeti come Brodskij, Puskin, ecc.); e non si può che ringraziare la casa editrice Il Ponte del sale per l’ennesima volta. La grande editoria italiana di poesia lavora sottovoce, ma porta alto e con decisione il vessillo della Musa Poetica. 
 
Antonio Bux
 
 
5 poesie dal libro
 
 
27.
 
Ci baciavamo qui cinque anni fa.
Un asiatico con gli occhi sbarrati
fissava noi, i nostri baci, eh già,
tonto e lascivo, che maleducato!
Intanto i riflettori del disco-club
ondeggiavano verdi tra le nubi.
 
Di anni allora ne avevo diciotto,
sparavo ubriaco fini sciocchezza,
sullo sfondo di un tramonto perfetto
barcollavo (le nuvole scarlatte)
e insultavo l’asiatico bislacco
con i pugni serrati nella giacca.
 
Dove sei ora? E la giacca, e quel fesso?
Ma voleranno gli asini, io lo so,
si ripeterà quel che è già successo.
Ancora, piccola mia, ti stringerò;
sul tuo viso le stesse luci verdi,
di nuovo: imbecille, ma che guardi?
 
Ancora con un urlo sul mio petto
ti avventerai, sbarrandomi la via,
poi torneremo da te al convitto.
Con la mano pulirai la tovaglia,
berrò, poi dormirò qualche minuto
e la mia vita cesserà al risveglio.
 
 
30.
 
Manca tenerezza alla mia poesia,
ma voglio che ci sia tenerezza:
come impellenza o trascuratezza
così ti bacio appena e scappo via,
 
o musa, mia cara, così inetta!
Tu ti volti e nascondi il dolore,
il volto non ti celo, né il cuore,
affranto da questa prosa afflitta.
 
Con le guance incollate, ragazza,
noi due, come vecchi-angeli-bimbi,
vivremo soli nei nostri limbi:
tu singhiozzi, io rimo “singhiozza”.
 
 
38.
 
La Russia è un vecchio film, in fondo.
Pensa e ripensa, è la stessa cosa:
i veterani stanno sullo sfondo,
giocano a domino sotto casa.
 
Quando brinderò e morirò,
i lillà ondeggeranno al vento,
per sempre il bimbetto sparirà
che in cortile correva un tempo.
 
Rimetterà in tasca i confetti
dal ciglio canuto il veterano,
pensando: “Ma dov’è finito?”.
Sono sparito in primo piano.
 
 
39.
 
Ho ucciso tre volte un uomo vero in poesia
e un giorno quello si leggerà i miei versi:
il ghigno di un criminale sarà il mio addio,
tipo: “arte e vita son due cose inverse”.
 
Con la vetusta colt, nell’androne nero,
in pancia mi sparerà e chiuderà il paltò.
Era meglio inventare, non ritrarre il vero!
Chi ha segato Boris? Chi lo sa, dite un po’”
 
Dalle cantine sbucherà nell’altra scala,
una boccata, una scrollata ai genitali.
…Si assopiranno alla biblioteca rionale
gli agenti del GIP su riviste e giornali.
 
 
42.
 
Esco dal cinema e c’è già la neve,
un barbuto col badile la smuove,
il tramvai rosa fende l’aria lieve,
il dodici, no il nove, il diciannove.
 
Il mondo intero è mutato all’istante,
ma io son sempre io, che devo fare?
Ora telefono a tutte le amanti,
ma ormai c’è un altro, mi farò insultare.
 
Colpa della neve, ha coperto i fiori.
Arranco a casa, trovo le chiavi e
entro. Stanze vuote, che siano fuori?
Due angeli in cucina prendono il tè.
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