
UN PENSIERO SU “ESSERE GLI ALTRI” DI ALESSANDRA CORBETTA
Nella raccolta di Alessandra Corbetta, “Essere gli altri” (LietoColle, 2017), vi è tutta la cadenza elegiaca e assertiva tipica di molta poesia del novecento (specie quella della prima metà). I toni sono cadenzati, anche se a volte melodrammatici o scanditi da subitanee esclamazioni e cambi di ritmo. Il tema principale della raccolta è l’amore, o meglio, la sua condanna ad essere tale, e resistere nei corpi, quando invece vorrebbe soltanto volare, provare ad essere volo. Ma ci sono anche altri temi, come la volontà di sentire, di trovare empatia verso un mondo tenuto sempre lì, ma nel lato rovescio del suo stesso sentire. Ed è qui che si evidenza questa marcata vena elegiaca, formatasi da uno stile che gioca sui rimandi, sulle rime interne e sulle modulazioni dissonanti, come anche su semplici, ma ricercate, assonanze eufoniche. Tuttavia il distacco tra chi viene scritto e chi viene letto è marcato. Il rischio è quello di smorzare la propria voce per dare spazio alla forma di una voce che si rifà il verso. Tuttavia è un rischio calcolato, seppure presente. Ciononostante, la raccolta scorre piacevolemente, anche perché in alcuni sprazzi la Corbetta riesce a mancare, a farsi pura essenza, riuscendo forse nell’intento di sentire gli altri come se stessa, e non soltanto ritmando questo desiderio, ma allontanandolo con la propria testimonianza, non dunque per essere davvero gli altri, ma per sparire negli altri. Ed è quindi, nella sua totalità, un lavoro apprezzabile, posato, anche se il mostro di essere viene solo accarezzato, mai stanato e offerto in quella sua oscura finitezza, che è l’arte quando ci dona per l’appunto, e definitivamente, il nostro mostro interiore. Ma sono sicuro che questo punto di partenza darà modo ad Alessandra di generare altri mostri, altre sue interiorità, che ci daranno modo di sentire il suo “altro”, che potrebbe anche essere un nostro nuovo Noi.
Antonio Bux
3 poesie dalla raccolta
ALTER
La fortuna di esser gli Altri vorrei pescare
dentro la bolla,
tra i foglietti bianchi.
Non essere me, per un attimo
e te neanche, ma gli Altri.
I passaggi tra gli orifizi nascosti
che il piacere sfiora,
o le gambe della ragazza qui da parte,
fuori da ogni tessuto, il buco del maglione:
ciò che in ogni relazione manca,
essere gli Altri.
MARI INTERNI
Quelli che ce l’hanno fatta
a scrivere l’attesa
con la schiuma
dicono che il mare riordini le idee.
Il mare confonde le onde
di quelli che ad aspettare
non ce la fanno
e di marea annegano.
Dalla spiaggia
non si fanno distinzioni:
tutti guardiamo al mare.
SOTTO, AI PIEDI
Secchi, troppo secchi, Vecchi quasi morti.
I tuoi piedi.
Abbiamo dei piedi, sai?
Non ci avevo fatto caso.
Mi hai invidiata per dei piedi, comico.
Ironico:
se t’avessi visto i piedi
non t’avrei parlato.
Ho rivolto le parole agli occhi,
– consuetudine di norma indotta –
ma i tuoi piedi erano già là sotto.
Che colpa abbiamo
se c’ha nascosto la natura
alcune parti,
se c’ha messo tra gli inganni?
È che il problema non sono loro,
(i tuoi piedi intendo)
bensì gli occhi
(il mio cuore intendo)
che senza amore
cecchino bersaglia
ogni tua imperfezione.
E ci uccide.