
La gabbia prima e costante, nella poesia di Bux, è quella del rispecchiamento: due poesie si fronteggiano ogni volta, riflettendo le parole dell’una in quelle dell’altra, per insegnarci che lo sguardo sull’oggetto è uno sdoppiamento dell’oggetto, e che guardarsi allo specchio vuol dire essere davanti alla visione abissale del proprio rovescio. Così, in questa realtà di vasi perversamente comunicanti le gabbie pullulano, eppure non c’è limite né frontiera che tenga: la cosa tracima inevitabilmente nella propria forma speculare, l’esistere dilaga nel suo inverso che è lo spegnersi e via cancellando: parola, specchio, immagine e annullamento sono le chiavi di questo mondo simmetrico e ossessivo in cui fantasmagoria e perdizione sono un’unica danza spietata «perché la notte / è il suo desiderio / di estinguere», dice la poesia d’apertura. Ma che ne è di chi abita la notte, di chi forse resiste, esistendo, alla notte? potrebbe chiedersi il lettore. La risposta è un po’ più giù, in un ritratto di interno degno di Ingmar Bergman: impenetrabile a tutto e dunque illeggibile per chiunque. L’interno è esso stesso una notte claustrofobica: «La casa ha solo colpe / lasciate le chiavi incustodite / le porte non aprono ricordi / ma scricchiolii sordi ai vicini».
Sonia Gentili
*
(Perché la notte
è il suo desiderio
di estinguere
una moneta
che l’universo progetta
noi siamo la spesa
patto che bruci
in noi ci sei ancora
ma finirai
con le carte rovesciate
e i libri di poesia
sceglieranno il demone)
*
(Se io ti dono
sei rose parlando
o il numero della vita
tra centinaia di spine
tu saprai l’amicizia un fiore
prostituito)
20-07-15-11:26
Satana ha lingue
piatte
divora a lungo
le stesse tane
rimbalza
sul ghiaccio
la sua sfera
contraria
ferma solo
chi è superficie
21-07-15-00:50
La casa ha solo
colpe
lasciate le chiavi
incustodite
le porte non aprono
ricordi
ma scricchiolii
sordi ai vicini
*
(Vorrei che le mie poesie
le leggessero i muratori
dopo la Peroni e il tangone
vivo di mortazza tra un rutto
e uno schioppo di Diana Rossa
magari sospeso su una trave
con la pancia spudorata
un muratore a bestia leggerebbe
una mia poesia senza cielo)
*
Ogni domenica sbocciano
le rose. Sono nascoste bene
fino alle loro spine. Giorni come
fiori, intorno a un solo gambo.
Dirlo è come perdersi le arie
intanto che nei cieli regna aperto
l’improvviso della pioggia intorno
allo sciogliersi compiuto respirando;
una volta tornava primavera
ed era tutto onesto: la brevità
degli esseri ancora imperfetta
verso una luce che significava.
Ma ora è tardi, il buio inghiotte
molti; nelle curve passeggere
ci si abbassa per dimenticare
il fulmine buio della comprensione.
Allora dire non basta più, le parole
moltiplicano la lunghezza. Scivolano
giù dal fiume mentre scorre altrove
l’acqua che moltiplica ancora in sete
*
Tra poco verrà il mare
se saprò nominarlo
e i suoi effetti celestiali
si faranno avanti
e alcune conchiglie
enormi senza perle
medievali dall’abisso
mostreranno il perigeo
con gli uomini della pietra
parleremo la stessa lingua
popoli affondati dagli dei
extra esseri e fiordi del Nord
le piante tutte riuniranno
sotto le ombre dei ghiacci
finalmente arriverà la palude
il blu comprensibile la sempre foresta
23-07-15-11:13
I contadini sono fissi
negli orzi
qui pure il sole
lavora
partecipa alla semina
mentre un uomo
muore impagliato
il caldo
ammala i suoi pori
non c’è altro
solo il nudo
del pomodoro
***
Il sogno della mia vita
non esiste
è un suono che riduce
l’alfabeto
e ogni volta che parlo dio
è come se sentisse
ma io parlo solo, mi muovo
nel sonno di ogni parola
e muoio, mai in silenzio.
Dov’è dio è tutto in ascolto
***
(Li chiamavano Titani, poi Signori
dal dito fragile
e ancora i grigi supremi
loro la corte impossibile
ciò che mutano in tigre
non importa, o in vertigine d’ombra
sono sempre lì a corrompere
le bestie senza pascolo
quelle capre, rubato il tesoro
guardale
lasciate sole
al profumo come vanno
mortali, non devono sapere
che ritorneranno)