3 poesie di Vicente Aleixandre (Siviglia, 26 aprile 1898 – Madrid, 14 dicembre 1984)
versioni italiane di Antonio Bux
El poeta se acuerda de su vida
Y dormir no es vivir. Paz a los hombres.
Vivir no es suspirar o presentir palabras que aún nos vivan.
¿Vivir en ellas? Las palabras mueren.
Bellas son al sonar, mas nunca duran.
Así esta noche clara. Ayer cuando la aurora
o cuando el día cumplido estira el rayo
final, ya en tu rostro acaso.
Con tu pincel de luz cierra tus ojos.
La noche es larga, pero ya ha pasado.
*
Il poeta ricorda la sua vita
Perdonatemi: ho dormito.
E dormire non è vivere. Pace agli uomini.
Vivere non è soffrire o sapere le parole che ancora ci vivono.
Vivere in esse? Le parole muoiono.
Sono belle se suonano, ma non durano.
Così questa notte bianca.Come ieri l’aurora
o come il giorno intero quando stende l’ultimo
raggio, per caso sul tuo viso.
Col tuo pennello di luce chiudi gli occhi.
Dormi.
La notte è lunga, ma è già finita.
*
Brillos allí que oscuridad prometen.
Ah, cuán cierta es tu noche,
Miro al fondo la luz, y creo a solas.
A solas pues que existes.
Existir es vivir con ciencia a ciegas.
siéntense sin mirar que en ellos brillen.
No brillan, pues supieron.
saber es alentar con los ojos abiertos.
¿Dudar…? Quien duda existe. Sólo morir es ciencia.
Hai occhi oscuri.
Luci lì che promettono buio.
Ah, com’è reale la tua notte,
e come incerto il mio dubbio.
Guardo nel fondo la luce, e da solo credo.
Da solo credo che tu esisti.
Esistere è vivere con scienza cieca.
Così ti avvicina buia
e nei miei occhi più luci
senza vedere lì senti che brillano.
Non brillano, per questo sanno.
Sapere è sentire con gli occhi aperti.
Dubitare…? Chi dubita esiste. Solo morire è scienza.
Una tristeza del tamaño de un pájaro.
Un aro limpio, una oquedad, un siglo.
Este pasar despacio sin sonido,
esperando el gemido de lo oscuro.
Oh tú, mármol de carne soberana.
Resplandor que traspasas los encantos,
partiendo en dos la piedra derribada.
Oh sangre, oh sangre, oh ese reloj que pulsa
los cardos cuando crecen, cuando arañan
las gargantas partidas por el beso.
Oh esa luz sin espinas que acaricia
la postrer ignorancia que es la muerte.
*
Una tristezza grande come un uccello.
Un cerchio pulito, una cavità, un secolo.
Questo passare piano senza suono,
in attesa del gemito dell’oscuro.
Oh tu, marmo della carne sovrana.
Bagliore che trafiggi le bellezze,
spezzando in due la pietra distrutta.
Oh sangue, oh sangue, oh orologio che batti
nei cardi quando crescono, quando graffiano
le gole divise dal bacio.
Oh luce senza spine che accarezzi
l’ignoranza ultima che è la morte.
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