1.
E vedo l’anima alle porte. La tua, presente
giù nel pozzo, a filtrare falde, i chiari
della mente ancora vuota.
Fare questo è ogni giorno. Dopo,
e non ci siamo, se siamo
in noi, con tutto il fare. Dove dio
è una sola mano, e tu
non stringi, ma germogli
sopra il letto, più antica
e sola.
Ma è dura la tua anima
del fare. Dura e senza avere, o solo
per quella sua anima osserva, in te senza sole
sempre il sole. Ma con il rumore, dentro il cavo
del rumore è dappertutto, finché offre
noi. E noi ci siamo
come il vuoto, se siamo scudo
per l’incontro, moriremo
un poco prima
2.
Tutte le case qui hanno un nome. La tua, la mia
non più nostra, rubata al tetto dei barboni,
ora al cielo. Noi siamo nome e strada, e sarà
questo dirsi, l’odore vero. Tu, e non sai come,
vivrai nel parco aperto, accanto ai fili d’erba
nell’amore.
Ma chi voleva tue, le case, ora le ha prese
vuote. Ma qui, nei soli che alzano, nei cerchi lunari
osservi, senza padrone, la tua semina
involuta. Quando il vento è così chiaro, conserva
e dice sempre. Tu lo vedrai, perché di ossa e felce
e non di casa e nome
3.
E volerà il tuo fiore, nel fiore
malandato. Io l’ho visto, spargere sul precipizio
sano il tuo sano
orgoglio, al prato. E volerà, senza
fiori, verso il polline
lucente. Io l’ho visto, ed era
in me, come un sogno, o forse
altrove. Come se sognato
sottoterra.
E in chi vola
ha un odore presente. E in chi
ha presente odora
e muore. Tu non ti scorgere, che tra i cespugli
attendono precisi, i tagliatori,
con le seghe e le cesoie,
e attenderanno il giorno, per fiorire
il tuo cogliere distratto
a continuare. Ma tu volerai, allora
sola e raccolta
4.
Perché ti ho detto,
e sei rimasta. E se sei qui,
io non ci sono. Come due diamanti
della guerra, brilliamo
di esplosioni. Per fare
il lavoro della terra. O simulare
il perdono, o mescere e poi dare, e dare sempre
lanterna: la tua assenza
sul mio cuore, se il mio cuore
fissa e sente.
E c’è chi sente senza amore. Tolto
il fuoco, dove è corpo
gioca di solitudine, a dire
amato, mai comune. Quale segno
minore, e perché averlo, quando tu davvero ami
solo il suo riflesso. Che amare meno
è proprio quello. Cambiare
al tempo, e forse al luogo, un mare
ottuso, tra sirene
e lische
5.
Davvero tutto succede
perché muore. Ed è alle eterne
lotte in cui fa credo. L’ospite di prima
giace disturbato. La sua feria
pensante è il genio
o il crollo. Dopo, tutto il debito
si arrende avaro.
Nasce da un vibrato
umano di ricchezza. Lentamente dove
la mano investe a forze.
Da cieca sovranità muta
a compassione. Fa da sporte
ai predomini. Pochi sismi di ectoplasmi
rei. Poi vende il vento
della madre al dio. Dito che ordina
più sotto, laggiù le bische
aperte. Ma cosa cede
alle nuvole, cosa medita il veliero
se fa eco. Forse nulla più
che questo amore, di ira
tra i morti
6.
E nei tuoi tanti mari
io ti perdono, e tu mi lanci
il mare avvelenato. Ma essere profondi quando
il lume oscilla un poco, sulla città
ancora sporca
di chimere, è mareggiata; e non si sa
da dove venga, se l’ossigeno o il cemento
sono ancora solitudine.
E sia solitudine che mare
si conquistano. E sia veleno
e sia chimera, e sia il cemento che lo sporco
solitario. Ma tu non sgusciare, e io aprirò le coste
indemoniate del profondo, io proverò
a riemergere se tu
amerai soltanto, e il granello e il chicco
tenebroso di acqua
che non sa più andare
7.
Accanto alla potente creazione io mi affaccio
da una porticola. E vedo senza un occhio
e il solo chiodo abbaglia, mi vede alla terza
volta. Per non vedere è ancora poco. Ma se tra
due mondi, se tra sei ore, se già domani o forse mai
succederà soltanto, è esistere.
Allora ecco chi vede. Se per un po’ tu non vedrai
che io ti guardo, se per un po’ lascerai nudo il vuoto
arriverà per tutti, l’occhiata tribale
della scelta. E non c’è viso, e non c’è mano, e non
c’è idea a dirti guarda, per vedere solamente dove
finiscono i tuoi occhi
8.
Sei la donna che piange, e anche i palmipedi
lo sanno. Che sei un salice se ami, e sei
per questo l’atmosfera. Ma quando non sei, come
un sogno, bruci il pianto alla radice. Quando
non sei, polvere e tacere adornano il palazzo oscuro
costruito intorno.
E ci sei e non sei non è più tuo. Non è più gioco
rischiare il crollo. Ché quando piangi il pianeta
dorme. E quando ridi due tigri si sbranano
di prede sbagliate. Quando riposi una pietra nasce,
rinnova il mio cratere come quando ami te soltanto
io amo le tue braccia invisibili
9.
Ah questo grande desiderio di non
tenersi. Il brillare della notte è vivo
di sapere. E comete e asteroidi vicini
sanno che poi l’aurora
cambierà percorso, che tu e io saremo
strana astronave.
Ed è desiderio il solo vuoto, o il nostro solo
luogo, se da quel luogo cadremo. E tu ferita
ed io, e tu coraggiosa ed io, e tu nell’argento
accecata di me, e di più io. Ah questo grande
sonnifero, droga che dormiamo così bene
a protezione
10.
E il cuore mi fa male, il cuore tuo soltanto
di me. Il cuore come un bue aperto
alla terra. Soltanto un cuore solo, striscia
di potere, del cuore che riempie. E non è
male, ma dolore d’erba, di più non so dire
il cuore malato.
E male e amore si possono dire
soltanto se lontani, solitari se nel volo
cadono in qualcosa. Sulla casa vuota
dolorosa, se nella casa lucente si avvicinano
ecco il cuore del buio, ecco la patria
effemminata e l’incubo
11.
Ma cambiare è dirti poco. Se ogni traccia
si smarrisce, se chi ti ha generato poi ritorna
a farti addio, nel tuo profondo senza nettare
fratello. Per questo è mondo, dove andremo
a dire meno. Anche per poco, seminando
un frutto altrui.
E se cambiare è molto a dirsi, il tuo ricambio
fa disastro, o conoscenza, una volta accesi i pori,
illuminati i teschi, saremo stirpe sola. E chi
ci ha condannati, qui, nella faretra, non
a comando, ma per scelta superstite, tornerà
in noi, a ricomporci
(11 poesie da “Naturario” – sezione omonima del libro – Di Felice Edizioni)
immagine: “Il pittore nell’atelier (autoritratto)”; olio su tela di Giuseppe Modica