CRISTINA ANNINO – DA “ANATOMIE IN FUGA” (DONZELLI, 2016)

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CRISTINA ANNINO – IL CAOS SONORO, LA GEOMETRIA RIBELLE DELLA POESIA
DI ANTONIO BUX 
DA “ANATOMIE IN FUGA” (DONZELLI, 2016)
 
La poesia di Cristina Annino, che ci osserva da oltre quarant’anni, è sempre rigorosa nella sua veglia elettrica, e sorprende ancora per la lungimiranza ritmica e prosodica, che coinvolge direttamente il lettore, calamitandolo nell’attenzione del mondo e delle cose, tramite l’enunciazione dell’avvenimento, che nella Annino non è mai mera cronaca, più concatenazione di possibili realtà, più configurazione di senso e mistero, più respiro che immagine, forse, anche se di immagine si nutre incessantemente ad incastri regolari formando un mosaico, una architettura plastica, mai fredda, che anche laddove “niente accade”, in realtà crea, in questa sua esecuzione poetica, un movimento a raggiera che coinvolge tutti i sensi; perciò l’avvenimento della poesia nella Annino è un compimento della vita stessa che si riscrive attraverso l’occhio attento, clinico e guizzante della nostra, che è una figura autonoma e originale nel panorama della poesia contemporanea e, a mio avviso, una delle sue maggiori interpreti. Non è da meno il suo ultimo libro pubblicato, “Anatomie in fuga” (Donzelli, 2016), dove tutte le peculiarità della produzione anniniana non solo si confermano, ma riprendono vitalità e nuova carica eversiva (difatti molti testi sono anche delle vere e proprie riscritture, ricomposizioni, di suoi testi precedenti; a confermare come il lavoro di un vero artista sia sempre quello di “sporcarsi” della materia che egli stesso ricrea e distrugge incessantemente). C’è da dire, appunto, che la poesia della Annino attinge da sempre dalle arti visive e diviene un preciso cesello meta-realistico, un patchwork del linguaggio in continua tensione. Nel suo ultimo libro, questo fattore è evidente, come anche negli altri suoi precedenti lavori, sempre formatisi come veri e propri “quadri” verbali, dove un occhio/tinozza attinge dal nero le forme più sgargianti di un reale parallelo ma aderente perfettamente alle cose, per mostrare l’essenza di queste nel loro interno più vivo. Difficile trovare altri modelli, nell’attualità, che sappiano coniugare così bene immagine, ossia senso, e ritmo, ossia respiro. La poesia di Cristina è pregna di modernismo, nel senso più illuminante e artistico, oltre ogni mera avanguardia, ed è destinata a durare nel tempo, ma, come un affresco, che ha bisogno di essere restaurato con costanza dall’uomo, così la poesia, in generale, e a maggior ragione quella della Annino, ha bisogno di essere “vista”, ascoltata, e compulsata; proprio come un’opera d’arte materica. Perché ad ogni sua nuova uscita ci si ritrova sempre davanti a piccoli capolavori di struttura vivente, che esprimono un caos sonoro, una geometria ribelle, attraverso la trasformazione della “sostanza” dell’esperienza (in questo caso delle “Anatomie” in fuga) in forma combustile, in anatomia, appunto in fuga, che viene così sapientemente incisa sul foglio dalla mano, fervida più che mai, dell’Annino artista.
 
Antonio Bux
 
 
 
Il Panda
 
Senza pace, con pena e senza girarmi
mai, pestando
non pepe o caffè ma gardenie, io amo
la mamma e i topi; li metto insieme chissà
perché. O ancora perché voler bene a quel
modo spezzato così in due, collo in giù,
polvere senza cerniere, bottone, qualcosa.
Sempre
senza girarmi. I perché chiarendo la vita
ai tram, alle piante. Lei, pura, mi dà
questa riserva di bambù. Nient’altro.
Poi via. Io su
che l’ho addosso oramai e non posso
schivarla, pestarla nemmeno, mettendo
con cura ogni piede tra l’erba.
 
 
Lei ora elegante
 
Lei ora elegante,
vistosa come le madri,
si stacca dal niente e ride. Qualcosa
dei venti, d’urgente, una fuga,
un ritorno, mi lega
a lei che darei
tutto il corpo per quella risata.
È salita
col petto in su verso l’estasi delle nubi
a quella distanza più nere che altro; poi
è scesa; pioveva. Ha saltato la corda
coi piedi fiammanti di santa e al collo
perle vere.
 
 
L’odiatore
 
Io spesso me ne vado con la Fine;
poi si torna, e credo che noi due
siamo l’insonnia o peggio:
quel pezzo di giorno che non matura mai
in gallo. Ma odiando – questo è certo – ora il mare
e ciò che nasconde, la carne con ciò che odora,
la terra con ciò che bolle; odiano il Portavoce
che perde nell’acqua le mani e, avanti, allargando feroce
spalle piene di balena qual è, rompe al mondo
le gambe. Non so più se annaffiare le piante
o farle seccare. E che altro, per esempio,
nella vita terrena.
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