Con “La rosa dell’Angola”, della poetessa russa Alla Gorbunova (tradotta da Paolo Galvagni), si inaugura “Kēlen” una nuova collana di poesia internazionale diretta da me per le Marco Saya Edizioni di Milano. In uscita a fine Giugno 2016, il libro consterà di 96 pagine e avrà un costo di 10 euro. Per ulteriori dettagli fare riferimento al sito dell’editore, grazie! Un caro saluto,
Antonio Bux
nella promessa di una catastrofe
c’è un lungo momento, quando si paralizzano persone e fiere,
come il sole, fermato da Giosuè, sul vetro dei grattacieli.
atomi e molecole, virus e amebe pare
abbiano puntato a carte giocando a “credi – non credi”.
il momento lento è sospeso nell’aria prima che
il tuono rimbombi, e questo momento di rallentamento
prima della catastrofe dura millenni,
finché non si spegne l’esile miccia della speranza.
come sott’acqua, i corpi compiono
movimenti rallentati, bramano amore e sangue,
sotto un cielo crudelmente chiaro, l’ultimo cielo.
come i pesci sul fondo, le generazioni condannate
riescono a nascere e a morire prima dell’ira,
nella promessa di una catastrofe.
***
L’Arcadia
nei grappoli che si arrampicano:
un convolvolo alla foce del fiume.
attraversiamo l’antico parco fra l’ortica.
l’ombra di uno scolaro fluttua nella pioggia del sentiero,
dove sono piantaggini e lappole.
dov’è il nido di una rondine campagnola?
forse qui, presso il vecchio granaio
e sui treni che viaggiano lenti.
i convolvoli biancheggiano.
cade l’acqua,
come il Niagara.
LA PALESTINA
così andavano alla terra promessa
raccogliendo la manna celeste,
attraverso il deserto,
così andavano alla terra promessa,
annunziata ai discendenti di Abramo,
dove scorrono il latte e il miele,
andavano, pregustando
i querceti e i giardini d’ulivo,
il mirto, il lauro, il mandorlo, il melograno.
e il Signore mostrò a Mosè prima della sua morte,
quando dalle pianure moabitiche salì sul Nebo,
tutta la terra promessa, Galaad.
Mosè avrebbe guardato per sempre
i pascoli fertili e le greggi di capre, sentendo
l’aroma di resina e spezie, che giunge col vento.
Mosè avrebbe guardato e pianto per sempre,
ma il tempo si concluse.
666
Come mi diceva la mamma non andare
fino al mattino a banchettare all’inferno.
Là turbina l’amara nicotina,
là Nicodemo scriveva l’apocrifo,
e ardono le vetrine, i locali, le insegne.
Per te il mondo sarà come una tovaglia,
sussurrano i demoni, amando,
e in ogni manifesto c’è
una scritta: la Belva
ti
ama!
L’inferno nigredo (1)
una ricompensa per Orfeo
a Mosca la notte della Cimmeria (2)
Sento la mammina bussa alla finestrella,
è il mio cuore che soffre e batte,
di una bellezza da luminarie
i lineamenti di una città che affonda.
In Belgio il computer sa
di me e di te,
io dirò, come Lutero al Papa,
ricorda: la Belva
ti
ama!
Facendo stridere il cuore coi cerchi,
senza rammaricarti, senza amare,
godi senza tristezza,
perché la Belva
ti
ama!
1) In latino nel testo. Nigredo, nel processo alchemico, stadio in cui la materia si dissolve, putrefacendosi.
2) Antico nome della Crimea.
VISTA DALLA FINESTRA IN DIVERSE STAGIONI
(gli stendardi celesti)
in autunno ho visto la Terra nel cielo al posto della Luna
la notte chiara-chiara
sagome dorate composte dalla
luminescenza sulle nuvole;
in inverno –
come prima del mattino cadono le stelle
(non cessano di essere visibili,
cadono davvero)
come angeli la cui caduta è ogni notte
poi dietro nubi fitte si è diffusa la luce
e ho visto il Sole, rotondo
dietro i veli dell’aria;
in primavera
era a mezzo cielo la Luna piena
e accanto c’era qualcosa di simile a un pipistrello –
un vampiro col mantello nero lucente
volava nel cielo; e in estate
l’ultimo dio è passato accanto
alla mia finestra
con il retino per le farfalle
e ha fatto il saluto militare
L’ha ribloggato su poesiaoggi.