ANCORA QUALCHE SPUNTO SULLA POESIA DI ALFONSO GUIDA

FONZO

 

 

 

 

(Ancora qualche spunto sulla poesia di Alfonso Guida).

Ecco come la storia, che non esiste, si fa immagine, che non esiste. Ed ecco come l’immagine, mutata all’invisibile, si fa rapporto, ricrea un sistema, nell’analogia tra specificato e annullamento. Ed ecco come il rapporto, sconosciuto, si arrende, si rende e si fa nenia, cantilena. Perché tragico di umiltà. Dell’essere umile che si trasporta, dicendosi e dicendo del mondo, proprio tacendo. Diventandone lascito, testamento. Ecco il rito funebre del testo. Ed ecco che, nell’annullamento, nel rito il dialogo cessa, e ogni parola, o meglio ogni sillaba, nel sistema tra il distogliersi e l’accadere, intona la messa, lo spartito del perdono, l’esecuzione della mancanza. Ed è così che celebra la musica, il suo fiato corto, è così che il significato perde di retorica, ed è così che la retorica diventa significante, poiché muore. E nel morire, si fa miracolo di pronuncia. Come si dice alla fine del secondo componimento, per crocifiggersi alla terra. Per ritornare dall’errore attraverso l’orrore e farsi incoscienza, incredulità di memoria. Ed è lì, forse, che diventa poesia.

Antonio Bux

*

Nessun diritto di passaggio. Un puzzo
di barche cucite a fasciame. Il legno
palmato, pregustato, in pettorina.
L’auriga scanalata, sonnolenta.
Mi ero appollaiato sul profumo croceo
di una ringhiera. Lessemi e cappelli
vietnamiti. C’era come un tanfo acre
di vespasiani, di erbe marcite. Ora
noi, natanti terraioli, col nuovo
asciugamano a turbante in testa, si
sprecava fortuitamente la siepe
dei ginestroni, vessate dinastie
di morti. Non c’era alcun lampadario.
Lucine al neon. Polloni di sambuco.
D’accordo. Ci allettava stare fuori.
Era bello, piacevole. Ma lì
continuavano a flottare, aspri e fetidi,
pastoie, corame, rubinetti. Una
catramosa calendula tossiva.
A passo d’uomo un guizzante eldorado,
l’antifonale responsorio. “Inalano
parecchi chili di anticrittogamici”.
Maria con quelli tentò di finirsi.
Fummo come sbatacchiati da ciechi
rimorsi. Era bellissima, le palpebre
celesti, il naso aquilino. Era un caldo
mattino di luglio. Teneva in tasca
certi strani confetti. Una manciata
di bacche ocra. Era nel fiore dei suoi anni.

*

Ci apprestammo a scambiarci i soldi. Si era
principianti. Si era idealisti. È molto
bello emozionarsi per questi piccoli
scavi nei centesimi. Liquidammo
gli infermieri. “È del tutto innecessario
frugarci”. Ebbi il privilegio di un breve
controllo. Parlavo educato e loro
si fidavano di me. Le anguillerie, le
carbonaie, le fronde di acetosa.
Le porche del giardino erano invase
dai ratti e dal tarassaco selvatico.
Tiziana, zampeggiavo. Una caldaia a
gasolio, i radar. Quei rigurgitanti
cioccolatini al caramello. Tutto
questo tra sangue, urla, feci, urina. Una
personalità indelebile, certo.
Semispogli, inadatti alle mugghianti
congregazioni antartiche, non si era per
niente freddi, imbalsamati. Anch’io certe
volte spurgavo per terra. Pattuglie
di sottovesti sui termosifoni.
Le donne strisciavano a tentoni nel
buio. E il buio era il nostro espatrio, un chiaro
cubicolo, invece, per coprirsi di
sfagno e indovinare la positura
del sesso. Allora ci si masturbava.
Si camminava a piedi nudi. E tutto
questo per crocifiggerci alla terra.

due poesie di Alfonso Guida
tratte da “Poesie per tiziana” (Il Ponte del Sale, Rovigo, 2015)

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