NEL PRINCIPIO DELL’ETERNO – sulla poesia di Bruno Galluccio
In questa nuova raccolta di poesie, Bruno Galluccio ci dimostra che c’è un tempo che continua e uno che si ferma. Ed è nella sua oscillazione, dove avviene il sublime, che appunto cresce il vero momento poetico della poesia di Bruno Galluccio, materiale collassato di una identità sensibile dal tono solo apparentemente ragionato (come già si era potuto apprezzare nella sua raccolta d’esordio, Verticali, del 2009, anche se in maniera meno perentoria a livello strutturale) sempre in grado di straripare e contenere, di emozionare e di ispirare pensieri profondi. È un tempo astratto, dunque, che si materializza dentro una contingenza temporale viva, e che cerca di ricongiungersi al movimento del suo principio, attraverso la misurazione del noto e dell’ignoto. Da questi tempi opposti dunque deriva una sorta di spazio precipuo, dominante, che in questo caso è il corpo “svuotato” della parola, che cataloga e disperde. Corpo, perciò privo di sé, nel meccanismo, che però si riempie attraverso la frazione del ritmo, dunque nel respiro trova il suo rinnovo. Ossia si rigenera consumandosi. Perció è una geometria sistematica di varianti, di opposizioni, la poesia di Bruno Galluccio; attraversa gli spazi per muovere l’invisibile dando contorno alle sfumature del quotidiano appena sfuggito, attraverso un occhio algebrico che capta e riordina da un lato, mentre dall’altro rilascia e suggerisce. Ma è anche un pensiero fisico, dall’inserimento quantico. Come metafisico, appunto, aprendo luci proprio quando si sembra di cadere sotto il velo delle cose adombrate, pronte all’eclissi. Una raggiera, perciò, poetica, che origina equinozi di pensiero e che spesso interagisce con il sogno, alternando la metafora alla contrazione scientifica. In questo perfetto bilanciamento tra momento “freddo” e “caldo” ecco avviene la misura dello zero gallucciana, la deriva del soffio poetico mosso nel cerchio della vita, in questa continua origine così vicina alla fine, pur essendo mobilissima, soprattutto nella sua apparente staticità cogitante. Il risultato che ne deriva è netto e lucido ma allo stesso tempo sempre in bilico, straniante. Questa poesia diviene perciò una eco misurata e coinvolgente, un taccuino onirico dove il principio elementare del mondo (qui ricchissimo di spunti e di intuizioni altissime) tende ad equivalersi, forse per annullarsi, o forse, chissà, per durare sottilmente (ciò a cui aspira tutta la vera poesia) in quel principio d’eterno dentro il quale si muove perennemente.
Antonio Bux
5 poesie dalla raccolta:
*
ora vedi ce ne siamo andati
ciascuno avvolto nella sua vera solitudine
non si tratta solo di contatto perduto
ma è l’immagine del mondo che svanisce
il significato delle pagine e della sabbia
e quello che i giornali ci dicevano dell’esistenza
ha un peso differente incerto
e il punto di vista sulla passeggiata
al verde a picco sulle acque
un verde senza senno
o con un senno diverso alla deriva
che cerca aggiustamenti una nuova prospettiva
sui frutti e sulla linea
in fondo così ovvia dell’orizzonte
e chiamano di continuo
non si sa con quali motivi
sotto il primo brillare delle stelle
che in fondo sono stelle
come sanno l’infinita’ dei mondi
come è noto allo spazio profondo
*
posso raccontare quando fece gli ultimi calcoli
per ritrovare di sé un angelo
non l’avevano convinto i mezzi
che giungevano dalle radici
e che la terra per continuità portavano
quando arrivò freddo in cucina
c’erano stelle alla sua finestra
ma non alla mia
il sistema di prospezione dell’interezza
è sempre fatto di tesori e linguaggi
perciò contavamo e contavamo
ma il suo modo di dire no fu quando
diede una risposta insensata
a una mia domanda
quando tutto fu sufficiente una mattina
salì ritto sulla ringhiera
come se fosse solo
mentre io guardavo dalla cucina
*
quella che vedi mescolata al giorno
è il residuo di una polvere che viene da un tempo remoto
oggi gli strumenti catturano le vibrazioni della terra
fiumi e metropolitane misure prese dal buio
e portate alla coscienza dei grafici
è un passaggio al limite dell’immaginario
scoprire anche il vuoto con le nostre parole
precipita la capacità di narrazione
e si espande al di fuori degli spazi
anche le particelle maturano e crescono
aggrappandosi alle nostre riflessioni
*
ho misurato la distanza del metallo
l’abilità di colui che forgia la pesantezza della mano
la sentenza iscritta nella figura nascente
chi viene colpito dalla creazione
è nudo ora il suo corpo reclama candore
chi avverte il destino
si ferma alla prima curva di gelo
chiedendo spiegazioni e doni alla cecità
gli arti sono gli arti quelli che non fioriscono
e ramificano in direzione della gravità terrestre
lì sul bordo nell’epoca che è giunta e si frantuma
possiamo leggere ossicini spezzati
la sete degli uccelli
e il corpo che cerca il suo unico specchio
*
tutto il dire che scrivo
per te da orto a orto buio
nel buio inverno per te
la stagione dei venti
la mia casa nel vento
racconti a lampi i morti
che verranno da uno ieri
distaccato e sfibrato
sotto luce di porfido
si può ricostruire
il guardarti le labbra
dovremmo stare l’uno
nella voce dell’altro
senza le scorie
come dopo la forza
dell’avere taciuto
Bruno Galluccio è nato a Napoli. Laureato in Fisica, ha lavorato in un’azienda tecnologica occupandosi di telecomunicazioni e sistemi spaziali. Il suo primo libro di poesia, Verticali, è uscito, sempre per Einaudi, nel 2009.
poesie di Bruno Galluccio da “La misura dello zero” (Einaudi, Torino 2015; pp. 138, euro 12,50)
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