L’onda del vento a sognare
Sua dispersa matrice,
Un mare, fiorisce.
Vento,
viva vena del cielo,
Rinata canzone
D’un diluvio, quando
Le tue voci diventan silenzi,
E parlano, mute, nel sogno,
Odo primavere nate
Dal tuo gelido grembo,
Gioie rassegnate d’un esilio umano.
Vento,
Tre volte puro,
Come me, come
Se fossi l’ultimo uomo
Vissuto, e vissuto
Solo di carne mia e di me.
*
Giornate molli come saliva
nel tuo corpo crescono a trama
(dolci vertebre, piccoli cuori,
spume devote, per carità
non ci ridate la febbre avara)
come sfera che estrosa avviva
a raggiera baleni di lama.
E sui tuoi passi di cenere, ora
udiremo stremite, a volte
dentro labili spire, sciolte
come nel nembo, il grembo di una venere.
*
Veleggiano – e non sanno
gli arroganti calmieri, la dignità
del popolo davanti ai manifesti,
delle rondini basse alla dolena,
e non sanno che presto accenderemo
l’acqua nelle lampade votive,
perché scampino dal fosco,
come rondini basse, dalle unghie
delle lunare in piena,
i nostri corpi – non sanno
che bruceremo la nostra oscurità
finché si possa dire, ad una
voce sola, tutti insieme: “Non ci vedo
più, dunque; smorza; è luce
che si consuma; e lacrime; e bisogna
dirsi coraggiosamente il lungo
“a domattina” nel brucio
dei garofani insensati. Non vedo
più, dunque; smorza; è luce
che si consuma”.