Le poesie che seguono, le ho scritte in queste prime due settimane di Maggio. Magari saranno il principio di un nuovo libro (che ho provvisoriamente individuato con un titolo come “Essere meno”) oppure andranno a integrare qualcos’altro in futuro. Per ora le condivido con i pochi, ma buoni, amici lettori che capitano da queste parti 🙂 Grazie, un caro saluto.
Antonio Bux
IL VOLO RICORDO
Vorrei volare nel ricordo
di quando ero felice ed essere
felice ora di non ricordare
se non so volare ma solo ho fastidio
dei molti esseri che mi sorvolano
senza di me che non so vivere alto
come loro perché vedo corto
in me come attaccato dai troppi ricordi
che non mi fanno felice volando.
ESERCIZIO FERMO
Serve l’attesa.
Mutare da lontano
il corpo, durare nella ferita
e piangere l’invisibile,
poiché l’invisibile è aperto.
Ma come maturare il nostro
se il sonoro ci sopravvive?
Forse solo prolungando
in silenzio.
PRATICARE SÉ
Avevo raccontato
negli anni un libro:
tutto ciò ed era falso.
Il tordo, l’usignolo,
sono parole libere;
riguardano Dio.
Leggerlo, è molto prima.
Sciolta la metà
dell’uomo è l’opera.
Non ho mai avvicinato
niente di più solo
e chiaro, e così mio.
TAVOLE DELL’ARCHETIPO
Spesso il reale è un momento
dove nessuno può accorgersi
dello sbocciare o del fluente
nato dovunque quando raggiunti
quasi tutti i discorsi, ogni pretesa,
dimenticati gli abbracci facili,
i volti trascorsi sferici, è continuità
del pianeta, sorridente, è la potenza
dell’aria che poi sfugge
la testimonianza cancellata ma noi questo
arriviamo a capirlo col fiato morto.
Essere e non divenire, così solamente
può tornare la semplicità
a guardare trasparente nel cielo
l’occhio con speranza di specie,
e la cosa senza sapere
di essere viva, con tutte le sue forme
una volta abbandonata la terra
pure lei sarà salva, e dall’essenziale
dell’atmosfera e dagli ioni, le sue vitamine
cambieranno il sincrono e gli eventi
da schermo coi corpi riassorbiranno
il tempo, l’astratto in noi diventato
prova concreta dell’utile,
ché è ora universo in crescita,
e niente altro, questo il limite
evidenzia, la sola volontà
del mondo, riconoscersi meno.
LA GOCCIA CHE NON DURA
Ci sono cicli d’acqua
spontanei come il silenzio
anche nei deserti minori
dove parlano orchidee
invertite al tempo e la luna
accende la sua gravità
l’avorio parziale
tenuto segreto al nucleo
degli occhi più sporchi
non fa per quelli
il bianco della comprensione
colora sempre dopo
intanto i lupi crescono
e l’essere beve il suo latte
nel vagito mai stato universo
la goccia che non dura
mentre una cascata scorre
superiore di lato.
CRISI D’ASTINENZA
Le vene si sono allargate
esplodendo la colpa
fuori dai sensi i sensi non esistono
sono solo situazioni
dell’umanità che si beffa di sé
sono sensazioni vuote definitive
le stagioni cresciute da sole
e gli inverni spostati
o i soli di un unico giorno
ora che le vene si aprono
vi entra tutta la gente
a vedere le estati passate
a dormire e a mentire memorie
sgualcite le memorie del mare che dice
che il sangue non esiste
che il sangue è la prima menzogna
del corpo se muore da solo.
SCADERE DI MAGGIO
A Maggio scade sempre
il detto covato d’inverno. E
i biancospini, cresciuti nel
tumulto. Sono rose laviche,
pietre uniformi. Sono nostri
odori, i fraintendimenti
notturni, quando le chiese
abbandonate alle sterpaie
offrono il cenacolo buio
delle ombre vicine. Ed è
un tavolo enorme, la notte,
ci festeggia. E noi, negli orti
persi non sappiamo se la terra
abbia una morte segreta o solo
voglia di essere finta, smossa
contro il sole. Non sappiamo
però, nella tundra del gelso,
sospiriamo il tumore dell’aria
e ancora i ciclopi. Una sanazione
scomposta, questa merenda
verbale di tempi, attraversando
giorno per giorno l’alta sfera,
pieghevole come l’astro ferito,
indica tutto ciò che si è perso.
E in questa soglia di solitudine
sapremo attraversare il giunco,
l’ontano slavato e il praticciolo,
e riusciremo a svegliare le fibre
e le mura spoglie di ogni casa
promessa al vento. Ma sapremo
colorarne il rosa invisibile? Spero
ci siano escrementi meno umani
una volta smesso il terremoto, spero
nei fanghi dei popoli vinti o nel pellame
coperto dell’universo, o nell’altra parola.
Che ci sia ancora una scadenza per dire.
IL VERME, IL BOSCO
Bosco dei miei ricordi,
tu non mi semini.
La tua semina l’hai regalata
all’aria che già dilata
di conoscenza, aria filtrata.
Bosco che mi diventi, tu
non sei più di un
verme, tu non fagociti
la tua terra con me
ancora dentro. Ma ora
che posso conservarmi,
ora che conservo sento l’aria
del tuo vuoto farmi scudo. Ma se
solo ricordassi, bosco che dilati
il sepolcro, le tue fate nuove,
se solo vedessi gli aghi e i fusti,
le coordinate incredibili se solo
tutto questo fosse vero, io potrei
seminare il verme che ora
è già terra del futuro. Ma nessun
bosco mi ricorda e io che vedo
il cielo sempre verde, non ricordo
se il mio verme è ancora dietro.
Bosco tutto, tu che illumini
i prati dei pochi, fammi verme
di ogni mio sentiero.
QUANTO PIÙ DI BUIO FAI CORAGGIO
E IL MARE
Quanto più di buio fai coraggio
e il mare, tu non puoi vederlo,
ma fagli coraggio e poi col buio
non più tuo forse tornerà più mare.
Quanto più di buio fai coraggio
e il mare, ora che l’ascolti e non è
mai stato tuo, ora che nell’eco
suo ti vedi, ora che diventi come il mare
quanto di più buio fallo e il tuo ricordo
senza il mare, forse è il tuo ritorno,
e come mai nessuno segui l’altra scia
ora che non vedi forse è lei che ti conduce.
COSCIENZA GENETICA
Se ciò che passa in tempo
non sa il tempo ma la desolazione
cosa resta della solitudine
se più di prima si arriva soli a qualsiasi
distanza precedente e si colora
di un suono migliore tutta l’evidenza?
No, non è un parassita strano sparire
se l’era già prossima riguarderà
ancora tutto, noi saremo più soli
e finalmente deformi, nel protestarci.
10 inediti di Antonio Bux da “Essere meno” (titolo provvisorio)