Quanti quadri per fare
un albero che non è più un albero e pare
chi sa – una linea un colore marrone o verde
un sovrastare di Dio
e insieme dire – quello lo vedi è l’albero
l’albero c’è
Che andirivieni dalla terra al cielo
Che strano mestiere dipingere
Spostare una parola da qui a là
(che strano mestiere scrivere versi)
e azzardare – non è una parola
quello che ho fatto è un pezzo
di realtà
A Roma, verso il Ghetto
I giovani non conoscono i nomi delle strade che percorrono spavaldi.
Immersi in una nuvola di suoni, un po’ ubriachi.
Esibiscono bambini issati sulle spalle.
Immersi in una nuvola di suoni, attenti a una musica
che comunica soltanto con loro.
Tolleranti – spesso gentili: alle domande
su strade, fermate d’autobus, sorpresi,
lontani.
Sfiorano graziosamente quella pietra,
quell’angolo del ponte, quelle case.
Suite autunnale
Tema
Nelle città la narrazione non è richiesta.
Il tempo è scaduto; gli Omeri
si fanno ombra negli angoli – li schiaccia
il presente frettoloso; un futuro
non più procrastinabile è alle porte,
nugolo di uccelli famelici: ciò che si deve fare
è rafforzare gli sbarramenti, addossare
mobilia agli usci – circoscrivere
e difendere la casa coi denti.
Sta dentro una nuvola che si vede da qui
incorniciata dalla finestra, una nuvola non grandiosa,
anzi ingenua, nettamente disegnata.
A cercare, ad adoperare lenti
ben pulite, brillanti; a insistere, a riprovare,
a mettere a confronto saggi diversi,
a pensarci un poco su,
i tendaggi tra misteriosi sibili si aprirebbero
rivelando la scena nuda e ferma.
Ma l’ossessione di vedere – la coazione
a riferire con precisione, il compito
“racconta come hai trascorso
il dì di festa” va come fumo
nell’aria. La tentazione del serpente
s’incarna nel risibile millepiedi.
Svolgimento
E’ una vita, sono passi in una direzione
– sono passi in una direzione mutevole;
e soprattutto i colori, sono cangianti;
le linee anche, ma soprattutto i colori;
è lo sfondo che cambia… è la figura…
la figura con lo sfondo – il quadro.
La cornice invece sembra – per il momento – fissa:
ma io credo che per ogni evenienza è bene essere preparati.
La riflessione prende vita dalle foglie del platano
e dal viale dei platani, che nel mio caso è l’infanzia.
Infanzia peraltro non mutevole, ma capace
di capovolgimenti repentini.
A ripensarci adesso, sfuggono i limiti della figura, i contorni.
Comunque è opportuno tracciare linee curve,
per prudenza.
La madre teneva il foglio dritto,
il foglio ha due facce, una bianca, l’altra nera.
La nonna ritagliava nel foglio silhouettes
che a un tratto si mettevano a danzare.
Il padre regalava fogli ingialliti
alla bambina che disegnava case
tutte colorate.
***
Marina Mariani nasce a Napoli il 14 novembre 1928 da Giuseppe, avvocato, e da Lea Tuzii, proprietaria terriera(1).
All’età di otto anni si trasferisce con la famiglia a Roma, ma il ricordo dell’infanzia trascorsa vicino al mare (nella casa di via Elena, ora via Gramsci), dei primi anni di scuola presso le Suore dell’Arco Mirelli resterà vivo e presente nella sua memoria.
E’ la terza ed ultima di tre figli (2-3). Prima di lei c’è il maggiore, Paolo, bello, brillante che morirà improvvisamente all’età di 23 anni, questa tragedia segnerà per sempre la famiglia Mariani e Marina in particolare. Il secondo, Marcello sordastro dalla nascita, perderà completamente l’udito in età adulta, ma riuscirà comunque a vivere una vita di lavoro e di famiglia soddisfacente, si sposerà e avrà due bellissimi figli Paolo e Andrea, gli unici cari nipoti di Marina.
Queste vicende familiari renderanno difficile l’adolescenza di M, che vivrà questi anni in un’atmosfera di lutto e di tristezza, ma nello stesso tempo la spingeranno a cercare un rifugio in un’altra dimensione e lo troverà nella poesia. Spesso lei stessa descrive i pomeriggi d’estate lunghi e pigri trascorsi a Pescosolido in Ciociaria(4), nella casa di famiglia, le sue passeggiate nel vasto bosco circostante, alla scoperta delle piccole e grandi cose della natura. Legge Montale, Saba, Caproni, Dickinson e cominciano così a delinearsi i fondamenti della sua storia poetica.
Frequenta per un certo periodo la Pro Civitate Christiana di Assisi, culturalmente molto attiva negli anni ’50 e ’60 e, pur non potendosi definire religiosa, si innamora per sempre della figura del Cristo.
Dopo aver conseguito la maturità classica al Liceo Giulio Cesare, si iscrive alla facoltà di Fisica, ma, dopo aver dato solo alcuni esami, decide di cominciare a lavorare. Riprenderà gli studi molti anni dopo, iscrivendosi alla Facoltà di Filosofia dell’Università di Firenze e il suo interesse per la psicoanalisi la porterà a discutere la tesi con Cesare Musatti.
Comincia col collaborare come stenografa alla stesura di sceneggiature cinematografiche con Fulvio Palmieri, Ennio Flaiano, Gino De Santis(5) e altri. Nel 1955 si impiega alla RAI dove rimarrà per trentacinque anni occupandosi prima, nell’ambito del Servizio Opinioni(6), di rispondere alle lettere e alle telefonate del pubblico della radio e soprattutto della TV degli inizi e poi a Radiotre dove si occupa di trasmissioni letterarie tra cui la rubrica “Pagine” il cui materiale viene utilizzato ancora oggi.
Alla RAI incontra Giulio Cattaneo al quale per primo fa conoscere le sue poesie fino allora tenute segrete. Cattaneo la incoraggia a scrivere e la spinge a pubblicare su riviste letterarie quali la Fiera Letteraria, Nuovi Argomenti, Linea d’Ombra, Paragone e altre.
Nel 1982 le sue poesie appaiono nel volume di Einaudi “Nuovi Poeti Italiani 2” a cura di Alfonso Berardinelli e nel 1984 in “Poesia Tre” edito da Guanda.
Le successive pubblicazioni in volume sono state tutte edite dalla Quasar, una Casa editrice seria, ma con scarsa diffusione perché, come notava M. con ironia, “specializzata in archeologia”. Così nel 1998 esce “La conversazione” (andata tra i finalisti del Premio Viareggio), nel 2000 “Il gioco delle costruzioni”, nel 2007 “In campo lungo” e nel 2009 “Poesie migranti”
Nel 2003 aveva pubblicato anche un libretto in prosa – “Una bella perdita di tempo”- in cui presentava un altro modo (diverso?) di raccontare i suoi incontri con le cose di tutti i giorni.
M. ha fatto viaggi in Italia e all’estero, visitato pinacoteche, frequentato sale da concerto e teatri di prosa. Era molto intonata e con voce garbata cantava volentieri brani d’opera o canzoni napoletane. Ha avuto un gatto (albino e sordo) di nome Guercino(7) e poi un cane (tutto nero, vagamente labrador) di nome Poema(8).
Era socievole, curiosa, aveva una grande facilità nello stabilire rapporti, per quanto breve o occasionale fosse un incontro; le sue parole non erano mai banali o di circostanza, ma si mostrava subito per quello che era e dimostrava un effettivo interesse per l’altro.
Si definiva “poeta minore”, ma le avrebbe fatto piacere-come dice nella poesia “Quale onore”- che qualcuno tenesse un suo libro”bambino che non ho fatto nascere…in mezzo agli altri libri suoi fratelli maggiori”.
Alcuni hanno associato mentalmente la poesia di M. a quella della Szymborska (da lei assai amata, ma conosciuta solo attraverso le traduzioni e la diffusione seguita al premio Nobel), nel comune modo di sentire e guardare alle piccole cose, nel linguaggio semplice e facile, nel tono basso, sempre permeato dal dubbio, e non ultima, nell’ironia.
Altra curiosa coincidenza: verso la fine dei suoi giorni M. logorata da anni e anni da una malattia del sangue, mette fine volontariamente alle cure e con un “Basta così”, il titolo dell’ultimo libro della Szymborska, attende serenamente la morte avvenuta il 16 febbraio 2013.