NELLA RADICE DEL PENSIERO
La poesia de “Il peso di pianura” (Lietocolle, 2011) di Nadia Agustoni, si installa in quel senso di smisuratezza del paesaggio, e in quella mutevole consapevolezza del luogo tipica di una certa poesia di matrice sereniana, e in questa immaginaria “linea geografica” che contraddistingue molta della poesia lombarda. Così, partendo da questo spunto, prendono forma “i nomi dei luoghi” attraverso i propri più puri strati invisibili, e la pianura acquista forma, oltre i banchi di nebbia, che riguardano anche il pensiero, e lì, una volta attraversati, crescono attraversando questa gramigna semplice, questa radice di parole grigioverdi, di sfumature obbligate al contorno di una terra durevole e decisa nel suo spogliarsi di (e da) sé. In questa transizione terrena muta la corrente della Agustoni, si conforma alle proprie ibridazioni, e da queste rinasce per confondersi con gli elementi (rocce dinamitarde, fiumi eclettici, crepacci sublimi…). Ecco che la saggezza dell’aria e del mondo entra nei versi, quasi filtrando lo spavento della carne, quasi delimitandone il rischio di esserci per davvero, stando chiusi a riccio nel mantice della maturazione, nel bivio della crescita. La scrittura si fa lieve, quasi un velo a protezione delle cose, però allo stesso tempo colpisce la dura precisione delle scansioni, la marmorea parabola che racchiude l’intera opera in una marcescenza d’immagini volte a restaurare, chissà, la fertilità insita nell’essere, quando questo rientra nel suo ciclo mitico, e inizia a mietere la sua genesi consumandosi. E dalla negazione della privazione, dalla messa in onda di custodie ancora capaci di aprirsi, nasce questa poesia fertile e spontanea, gravida e in costante fermento, dove anche l’invettiva conversa con la pace di certi luoghi, come ad arrendersi al tumulto selvatico e rampicante della specie terrestre.
Riporto alcuni poesie tratte dal libro.
Con tutta la poesia del mondo,
Antonio Bux
non avremo più niente
i bambini di terezin nel silenzio maiuscolo
di nuvole immobili, dove è già accaduto
e accade per sempre mentre guardi, il giorno
vicino alla luce.
con nomi magri e tempo limpido di prati crescono:
“è stato ancora nascere
vedere in fila treni binari
l’heimat è un’aquila bionda e la pura lingua tedesca”.
l’appello è interminabile, sbatte
sul rovescio di finestre, nel ritorno del vento
e i cani corrono contro qualcosa
case e terra senza rumore.
laggiù i vivi hanno spighe, cercano nei volti
qualcuno amato e la pioggia ripete
il fiato si sgola: “non avremo più niente”,
dal mondo trapassano pietre, le mani
sono corteccia, nomi di betulle il bene:
una volta le parole erano la giubba dei re
ognuno viveva per vivere ognuno
chiedeva perdono molte volte.
io abito in una via di prati
l’azzurro slega bufera
e più forte di verità e passato
è pietra che libera la pietra:
io abito in una via di prati
col sole i muri e rifiuti di fabbriche
ed è giusto e ingiusto oscuro e chiaro
essere superflui negli occhi dell’altro,
nel suo canto-lavoro di pianura
che ci dà imprevista misura di terra
quel sopravvivere ancora assediati.
dove la diga
nel mese dove diga è grembo
e acque salgono i bacini
e su barche smisurata mitezza
facciamo al cielo
ho pensato
che sempre la pianta
è rami e spiragli
e mai risana il proprio dolore
ma coincide.
appunti
il passato non è tutto
solo i nomi dei luoghi sono nostri
e nell’aria diurna i nostri nomi collimano
e piantiamo ombrelli intorno alla casa:
sia prescritto ripararsi dai torrenti
dalle acque dolci e salate
e aggiungere un faro tra gli appunti dei naufragi.
condanna
nessuna rovina è uguale al tempo fermo di idoli
al superbo mancare nelle cose
d’ogni testamento
e sventato delirio – bifronte –
ci chiude ogni veduta
più di città e condanna.
oggi è ogni giorno
ma a me il male è questo dolore quest’ora
in cui il ragno oscilla tra tela e parete e i muri
fino al soffitto costruiscono ombre
e mi si spaccano i denti nella furia di parole
che ritornano: lo vedete voi che c’è il torto
e tutto a nostra immagine?
ma a me chi lo dice che c’è il paradiso?
anche il muso dell’animale è attesa è mangiare è chiedere
e guscio è ogni anatomia e il voi e il noi e ogni figura
sono aperti e a volte pensiamo la salvezza
a volte siamo solo vivi e siamo stufi del cuore dell’anima
del giorno che saremo alla destra di chi a fare cosa?
il dolore è questo: è errore nelle parole.
ma dio se prende i pari vostri se vi somiglia
è messo male: quaggiù è terra io sono cometa
sono miglia di vento nella nuca sono gli occhi
che rimano il mondo e voi aggiustate l’abito ancora
credete all’abito credete di rinascere nella vita.
ma io la vita la finirei gridando come i pazzi:
andare sui tetti a una finestra e fare il gesto così
e così e tiè e basta, mica coi versi la finirei
vi inchioderei i versi la poesia come la legge alla porta.
Nadia Agustoni (1964) vive e lavora a Bergamo.
Collabora a varie riviste e a blog letterari. È redattrice di Lpels “la poesia
e lo spirito”.
Sue poesie sono pubblicate in riviste e antologie.
Si è occupata (saggistica) di Etty Hillesum, Elizabeth Bishop, Kazimiers
Brandys, Cristina Annino, Patrizia Cavalli, Alba Donati, Gianna Manzini,
Monique Wittig e altri.
Pubblicazioni di poesia:
per Gazebo Edizioni: Grammatica tempo (1994), Miss Blues e altre poesie
(1995), Icara o dell’aria (1998), Poesia di corpi e di parole (2002), Quaderno
di San Francisco (2004), Dettato sulla geometria degli spazi (2006),
Il libro degli Haiku bianchi (2007);
per Le voci della luna: Taccuino nero (2009).
sì! la sua poesia… infinita!
poesia di ogni giorno e notte –
grazie per il passaggio!
Bux
appunti e condanna sono davvero ben costruite. complimenti a nadia per le poesie e ad antonio per la sua nota essenziale ma pregnante.
grazie, caro Diego. Leggo solo ora il tuo commento!
Un abbraccio, Bux