3 POESIE DI JOHN KOETHE – TRADUZIONI DI GIUSEPPE CORNACCHIA

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VITA DI RAGAZZO

C’è un sollievo in cui niente accade
o accade all’improvviso con la dolcezza
del traffico l’istante in cui si smorza
o visto da una torre, il che lascia
spazio al fare – la rotativa del giornale,
un margine alle cose coltivate
in lieve pace come un albero speciale
nel parco che nessuno vuole visitare.

E tuttavia immagino un disastro
inosservato ai più ma non al re.
La station wagon color seppia nel parcheggio,
il giovane ciclista di casa al quinto piano
– tutti inconsapevoli, come te nel mondo
di chi ami mentre taxi e bus scorrono
come fermo-immagini in un sogno.
All’occhio attento tutto appare pronto.

Perché ignori questo mentre torni a casa?
Lascia stare maglione e sorriso, è tardi,
gli animali non possono capire il desiderio
e annuire come facevano in passato.
Ti sei sempre fidato di loro, viso e carne.

Forse al centro di ogni orrore impersonale
c’è un volere, così sottile e personale
che si rispecchia in tutto ciò che sta nel mondo.
L’albero radicato in sogno cede,
comincia a muoversi dal punto stabilito
nella mappa come un’appendice trascurata,
marca il tuo ritiro nella pioggia suburbana
e la morte ti prende dalle gambe, prova
la sua strada ma tu resisti, riesci.

Cosa fai dentro un’emozione
della quale non senti più morire?
Riconoscerla è supremo disappunto,
intelletto che la perde, il tuo sé più vero
verso quelle cime che ora sai, mai vedrai.

 

 

 

2. Casa estiva (da “Cupole”)

Esili schizzi di luce solare giocano
sulle punte di onde che sembrano vele
sospese sulla superficie della baia.
Sopra la costa l’acqua si incircola
dietro una riccia e rigogliosa isola;
qui, secondo le foto, non è mossa
né blu, ma molto più chiara.
Scherza la luce solare, non la riflette,
permette ai flussi argentati di gocciare
come acqua nei lavelli di cucina.
Iniziata gradualmente, la spiaggia
s’arresta d’improvviso alla foresta.

Se vista da lontano, la foresta
sembra stregata. Ma chiusa nel suo spazio
ha un colore verde e innocente, come se
emergendo da un sogno diminutivo
ci ritrovassimo di stazza umana
toccando le foglie sopra le nostre teste.
Perché non passammo qui le estati
circondati e di nuovo bambini? O forse
arrivare qui di notte, in auto, tardi
nella vita, paradiso così vicino
per rattristarsi. Ma non dentro questo mondo
che tale paradiso ha infine rivelato.

 
Il lichene è legato alla sua roccia
come una mappa a questo luogo; stelle
d’acqua; eserciti di bianchi fiori.
Tale splendore vergine se non nel nostro
incantamento quieto,
forse l’effetto di un cotale naturale
scenario con le sue attese d’estasi
e pace, chiede infine di scordare
ciò che lo sostiene: le foglie morte
dell’inverno, le foglie a primavera
che l’estate arde variamente
e l’autunno poi raccoglie, sigilla.

 

 

 
I (da “North Point Nord)

Mi ritrovo in queste cose:
nella doccia, allo specchio, nelle inconsce
ore trascorse allo schermo
fissando artefatti autoriferiti.
Li vedo come mondi autosufficienti
dove stare per un pezzo
e poi svegliarmi, le nubi dissipare
sulle strade fradicie di
pioggia caduta mentre ero.
Il sole brilla, i quieti
dubbi avvolti in altri dubbi:
i miei anni si assomigliano
e la storia implode nella mente.
Ciò che filtra attraverso le teorie
è un segno di ristoro, un equilibrio
fra la vita e ciò che prometteva –
stanze, poesie, ordinarie vie
che sbocciano ogni estate, intricate,
fra speranze e felicità presente –
che da fuori sembra auto-oblio.
Non c’è fine a queste riflessioni,
al tono misurato, cadente,
in cui cuore e spinte sono conciliati.
Le vivo, e sono grato
perché informano i miei giorni
dal mattino fino a sera.
In loro, il presente sfoca
e per un po’ il vecchio incantamento
tiene, familiare e sconosciuto,
ben stipato nei confini della stanza
che sembra adesso un sentimento, una grazia
preparata per me, scritta nel mio nome
contro il tempo ad un tempo
ormai riaccordato, rivelato –
lasciando dietro almeno uno strato di vero
come lo sentivo e lo vedevo
un mattino d’estate: suono e senso,
musica ed umore in un abbraccio
esitante che li rende uguali.

 

Poesie di John Koethe,
traduzioni di Giuseppe Cornacchia

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