da “Tre inverni”
Inno
Non c’è nessuno fra te e me.
Né pianta che attinge i succhi dal profondo della terra,
né animale, né uomo,
né vento che cammina fra le nuvole.
I più bei corpi sono vetro trasparente.
Le fiamme più ardenti acqua che lava i piedi stanchi
dei viaggiatori.
Gli alberi più verdi piombo fiorito nel cuore della notte.
L’amore è sabbia inghiottita da labbra aride.
L’odio una brocca salata offerta all’assetato.
Scorrete, fiumi; alzate le vostre mani,
città! Io, fedele figlio della terra nera, farò ritorno
alla terra nera,
come se la mia vita non fosse stata,
come se canzoni e parole create le avesse
non il mio cuore, non il mio sangue,
non il mio esistere,
ma una voce sconosciuta, impersonale,
solo lo sciabordio delle onde, solo il coro dei venti,
solo il dondolio autunnale
dei grandi alberi.
Non c’è nessuno fra te e me,
e a me è data la forza.
Le montagne bianche pascolano sulle pianure della terra,
vanno verso il mare, alla loro abbeverata,
soli sempre nuovi si inchinano
sulla valle del piccolo e stretto fiume dove sono nato.
Non ho saggezza, né talento, né fede,
ma ho avuto la forza, essa lacera il mondo.
Onda pesante mi infrangerò sulle sue rive
e me ne andrò, farò ritorno nei territori delle acque eterne,
e un’onda nuova ricoprirà di schiuma le mie orme.
Oscurità!
Tinta dal primo chiarore dell’alba,
come il polmone strappato da una bestia squarciata
ti dondoli, ti immergi.
Quante volte ho navigato con te
trattenuto nel mezzo della notte,
sentendo una voce sulla tua chiesa agghiacciata,
il grido dell’urogallo, il fruscio dell’erica,
e due mele brillavano sulla tavola
o le forbici aperte rilucevano –
– e noi eravamo simili:
mele, forbici, oscurità e io –
sotto la stessa, immobile,
assira, egiziana e romana
luna.
Si alternano le stagioni, uomini e donne si accoppiano,
i bambini nel dormiveglia fanno correre le mani sui muri,
disegnando terre oscure col dito bagnato nella saliva,
si alternano le forme, crolla ciò che sembrava invincibile.
Ma fra gli Stati sorgenti dal fondo dei mai,
fra le vie scomparse, al cui posto
si innalzeranno monti costruiti con un pianeta caduto,
contro tutto ciò che è passato, tutto ciò che passa,
si difende la giovinezza, limpida come pulviscolo solare,
né del bel né del male invaghita,
inviata sotto i tuoi immensi piedi,
perché tu la schiacci, la calpesti,
perché tu col tuo alito faccia muovere la ruota
e l’esile struttura tremi al suo movimento,
perché a lei tu dia fame, e agli altri sale, pane e vino.
Ancora non risuona la voce del corno
che chiama gli sbandati, chi giace nelle valli.
La ruota dell’ultimo carro ancora non rimbomba
sul suolo gelato.
Fra te e me non c’è nessuno.
Parigi, 1935
Tu forte notte
Tu forte notte. Non giunge al tuo volto
vampa di labbra o di nuvole l’ombra.
Nei bui gironi del sonno t’ascolto
e risplendi come aurora che sorga.
Sei la notte. Giacendo nel tuo letto
seppi la sorte e il male futuro.
Scansato dal volgo, la fama a lato
e la musica come vetro schiacciato.
Forti i nemici e angusta la terra
e tu, o amata, fedele a lei rimani.
Ramoscello di sambuco sull’acqua,
spinto dal vento da ignoti pantani.
Saggezza immensa, bontà non di donna
nelle tue fragili mani, o Mortale.
In fronte il chiarore del sapere:
plenilunio nascosto, non sbocciato.
Vilna, 1934
Nuvole
Nuvole, mie terribili nuvole,
come batte il cuore, è triste la terra,
nubi, nuvole bianche e silenziose,
vi guardo all’alba con occhi di pianto
e so che in me alterigia, bramosia
e crudeltà e il seme del disprezzo
per un sonno morto intessono il giaciglio
e i più bei colori della mia menzogna
hanno nascosto il vero. Chino gli occhi
e sento il turbine che m’attraversa,
ardente, secco. Oh, terribili siete,
nuvole, guardiani del mondo! Ch’io dorma,
possa la notte avvolgermi pietosa.
Vilna, 1935
Testi tratti da “Czeslaw Milosz; Poesie, Adelphi).
BIOGRAFIA
Czesław Miłosz (Šeteniai, 30 giugno 1911 – Cracovia, 14 agosto 2004) è stato un poeta e saggista polacco.
Figlio di Aleksander Miłosz, ingegnere civile e di Weronica (nata Kuna), figlio di un fratello del bisnonno del grande poeta lituano di espressione francese Oscar Vladislas de Lubicz Milosz.
Nato a Šeteniai, oggi in Lituania, ma allora facente parte dell’Impero russo, Czesław Miłosz frequenta le scuole superiori e l’università a Vilnius, oggi in Lituania ma allora in Polonia. Cofondatore del gruppo letterario “Zagary”, fa il suo debutto nel 1930 con due volumi di poesia. Lavora per la radio polacca e continua il proprio percorso creativo seguendo con attenzione i fatti che affliggeranno la Polonia, stretta tra le rivendicazioni di Germania e Russia. Passa la maggior parte della guerra a Varsavia lavorando per la stampa underground.
Dopo la guerra, diventa addetto culturale all’ambasciata polacca a Washington e successivamente a Parigi, nel 1951. Fortemente critico rispetto alla condotta governativa e al clima culturale imposto da un’élite politica e intellettuale formatasi a Mosca, non esita a manifestare il proprio scetticismo sulle prospettive del socialismo reale. In seguito alla rottura con il partito comunista, chiede asilo politico in Francia, per trasferirsi successivamente negli Stati Uniti. A contatto con il clima culturale fervente di Berkeley, in California, dove insegna letteratura polacca, continua la propria opera poetica dedicandosi parallelamente all’attività di traduzione, cruciale per la diffusione della poesia polacca in ambito anglo-americano e successivamente europeo.
Nel 1980 gli è stato conferito il Premio Nobel per la letteratura con la motivazione:
« A chi, con voce lungimirante e senza compromessi, ha esposto la condizione dell’uomo in un mondo di duri conflitti. »
(Motivazione del premio Nobel per la letteratura)
Nello stesso anno, gli operai di Solidarnosc trascrivono brani di una sua poesia ai piedi del monumento dedicato ai lavoratori uccisi dalla polizia di partito durante gli scioperi di contestazione.
Nel 1993 ha ricevuto il Premio Grinzane Cavour.
In ambito saggistico, Czesław Miłosz contribuisce al dibattito sulla possibilità di intraprendere il lavoro culturale in quanto azione politica e sociale, allineandosi alle tematiche dell’ambiente intellettuale francese dei primi anni cinquanta e fornendone, tuttavia, una chiave di lettura distinta e originale. Ne La mente prigioniera (1953), testo che unisce la riflessione saggistica a tecniche romanzesche, Czesław Miłosz affronta il complesso rapporto tra letteratura e società nell’ambito delle democrazie popolari satelliti del mondo sovietico. Demistificando esplicitamente ogni idealizzazione del socialismo reale, evoca e analizza tanto l’adesione quanto la dissociazione degli intellettuali al sistema (il Murti-Bing) consolidatosi in Polonia nel dopoguerra. In aperto contrasto con la lettura ideologizzata dell’intellettuale dissidente diffusasi nell’ambiente europeo filo-comunista, Czesław Miłosz ritrae la condizione divisa dell’individuo all’interno di un regime totalitario, attribuendone la libertà di pensiero e parola ad una pratica eretica (il ketman) basata sulla dissimulazione, sulla perfetta comprensione e conversione dei meccanismi censorii in cui vive. Fonte di aspre polemiche fin dall’uscita, il saggio-romanzo offre una prospettiva critica inedita sulla libertà umana, e una chiave di lettura preziosa al registro antifrastico che domina la produzione del poeta, come mostra il mondo evocato nel noto componimento Fanciullo d’Europa.
In un dialogo sulla letteratura con Josif Brodskij, realizzato nel 1989 e pubblicato nel 2001 sulla rivista Zeszyty Literackie, parlando degli scrittori che l’hanno influenzato, Czesław Miłosz dice[1]:
« E poi l’influenza, una forte influenza del mio cugino francese Oscar Milosz. Aveva scritto in maniera stupefacente il suo primo trattato metafisico nel 1916, conoscendo lo sviluppo delle teorie di Einstein (…) se non sbaglio pubblicate nella sua prima versione proprio in quello stesso anno. Lui credeva che la teoria della relatività aprisse le porte di una nuova era di armonia tra la scienza, la religione e l’arte. Per il semplice motivo che il mondo newtoniano è per principio contrario all’immaginazione, all’arte, alla religione. Io perciò seguii quella traccia e constatai con stupore che erano idee prossime a William Blake, che, anche se ovviamente non poteva sapere nulla della relatività, aveva fatto nascere le proprie teorie nella fisica. E anche Goethe, in una sorta di ribellione istintiva contro la via intrapresa dalla scienza ottocentesca (…) Una questione fondamentale è che per Newton lo spazio era stabile e obbiettivo, invece per la fisica contemporanea e anche per Oscar Milosz, una cosa simile non può esistere perché tutto è un unicum di moto, materia, tempo e spazio. »
Grazie Antonio, sono straordinarie.
vero, uno tra i miei poeti preferiti 🙂 grazie a te