Testi di Ulrike Draesner

ULRIKE DRAESNER

 

 

 

 

 

da damaskus, manöver

r t r n  r t r n  träumte
im hotel schwitzend
die laken plastik der boden
rtrn
 als man auf hügel
baute fest : die feste, ritteruine
das traurige wort. waffen
dem körper angepasst
wunderte (made in china)
das plastik sich wie es
diesen regen sah oder
spiegelte in seinen blanken
augen nur wider
wie die hand
junge knochen darin
sehnen nach dem stift
der so verlässlich
ach segelte (heiter,
geradezu)
wie unsere gesten verlässlich
weltweit: das lächeln, die
grundideen. kinder klicken
kugelschreiberknopf. wir
winkeln die hände dabei
nur auf unterschiedliche
weise an          den körper
das fallende licht

||

cyanblau
leicht bedeckt von
sand. ameisen krochen kiefern
hinauf, kalk staubte
auf. im chamäleon lief
noch während sie fielen
die chemische reaktion
wechsel von erdbraun zu
gesprenkeltem rot mit
helleren stellen
sandig             ||          fahl.

 

da damasco, manovra

r d c v  r d c v sognava
sudando in albergo
le lenzuola plastica il pavimento
r d c v  quando si costruiva su colline
solidamente: solido, il rudere dei cavalieri
la trista parola. armi
adattate al corpo
si meravigliò (made in china)
la plastica di come volò
in pezzi? si meravigliò il camaleonte
sulla sua roccia quando
vide questa pioggia o
semplicemente la specchiò
nei suoi occhi vuoti
come la mano
con dentro giovani ossa
legamenti dopo la biro
che affidabile
ahi – veleggiava (serena,
persino)
come i nostri gesti affidabili
su scala mondiale: il sorriso, le
idee di fondo. bambini cliccano
su penne biro. noi
incurviamo le mani
solo in modo diverso
sul       corpo
la luce cadente

||

azzurro ciano
leggermente coperto da
sabbia. strisciavano formiche su per
mascelle, calce spolverizzava
in giro. nel camaleonte ancora
funzionava la reazione chimica
mentre cadevano
cambio da color terra a
rosso chiazzato con
zone più chiare
sabbioso          ||          tenue.

(traduzione di Camilla Miglio)

 

bindegewebe
(ehegedicht)

dies kribbeln im bein diese sehnsucht
die weder sät noch erntet nur gehorcht
sich selbst gehört sie ganz zeugt
als gläubige als absolut als fall
die grammatik sich der knie. dort
liegen wir manchmal doch nur die
schnellen jungen simmernd in ihrem saft
verstehen die anfangschimäre der wahrheit
zu zeichnen: ein lächeln, unvorhergesehen.
ich bin ganz ohne sorge da auf dem knie
das nachts mit der matratze spricht und
sagt dies ist mein alter mein knochen mein
schutzschild bist du. man verdreht sich
nicht, man geht vorbei. man berührt und
dort ist das ende warm wie ein bahnhof
aus hosen und röcken und nächten
lang her getragen. dort murmelt etwas
wie liebe manchmal ist „dafür“ ein
„davor“, gehalten. dahinter wo der
zug fährt faltet die zukunft der anderen
sich auf – hier aber sind wir zusammen
auf knien im traum hier rührt uns
(nichts). zwei schwalben machten keinen
sommer? ha, heiter hebt sich das
bahnhofsdach.

mit dank an
rené char, crible
tessuto connettivo     
(poesia matrimoniale)

questo formicolio nella gamba questo desiderio
che né semina né raccoglie soltanto ubbidisce
che aderisce a sé stesso si crea completamente
come credente come assoluto, genu-
flessione grammaticale. lì
di tanto in tanto ci stendiamo ma solo i
giovani rapiti cuocenti nel loro brodo
sanno tracciare la lettera iniziale della
verità: un sorriso, inaspettato.
sono senza preoccupazioni lì sul ginocchio
che di notte parla con il materasso e
dice questa è la mia età il mio osso il mio
scudo di difesa sei tu. non ci si
storce, si passa. si tocca e lì
la fine è calda come una stazione
di notti gonne e pantaloni portati
da tanto lontano. lì mormora qualcosa
come amore, a volte un “pertanto” è un
“davanti“, trattenuto. dietro dove il
treno parte l’avvenire degli altri si
riapre – qui però stiamo insieme
su ginocchia nel sogno qui non ci tocca
(niente). una rondine non faceva
primavera? ah, serenamente si alza
il tetto sopra la stazione.

un grazie a
rené char, crible

(traduzione di Thresia Prammer)

Ulrike Draesner, viaggio obliquo (poesie 1995-2009), a cura di Camilla Miglio e Theresia Prammer, S. Angelo in Formis, Lavieri, 2010

 

 

 

Le ore che con garza morbida…

Le ore che con garza mor­bida strin­sero il telaio

del tuo sguardo, in cui sì volen­tieri flut­tua un occhio

estra­neo, daranno i tra­pian­ta­tori, da sé, a te,

e si illu­mina ciò che il più lumi­noso supera:

il tempo tic­chet­tando in atomi tra­duce l’estate

in un inverno più splen­dente, e là gli da fondo:

linfa, inti­riz­zita nel fri­go­ri­fero, mem­brane carnose

[avviz­zite,

bel­lezza incro­stata di gelo, nudità, ovunque:

non ver­rebbe allora il distil­lato dell’estate collocato,

pri­gio­niero liquido tra pareti e gas,

fosse pol­ve­riz­zato il sacco amnio­tico della bellezza

[dalla bel­lezza

non rimar­rebbe né lei, né il ricordo, di ciò, che fu.

Ma fluo­re­scenze, estratte, pro­tratte nell’inverno,

get­tano, codice cel­lu­lare, linfa lat­tea, il futuro

[con­tro il vetro.

*

Da Twin Spin. Tra­du­zioni radi­cali dai sonetti di Shakespeare

*

L’ Âven­tiure della forma

 

La forma è da sem­pre legata alla cono­scenza. Soprat­tutto nei tre aspetti seman­tici della per­ce­zione, della osser­va­zione e della ses­sua­lità. Tutti e tre sono (anche) atti cor­po­rei. La forma della poe­sia è il suo corpo, ed essa è ciò che agi­sce sul corpo di chi la riceve.

Anche la dispo­si­zione “mice­lica” delle parole che pro­duce nodi e fila­menti è forma. La “cen­tra­lità” viene qui ricon­fi­gu­rata in un ordine com­plesso. Che tutto que­sto possa cor­ri­spon­dere in maniera sor­pren­dente a quello che noi costan­te­mente con­cor­diamo stia a indi­care la realtà, irrompe almeno come intui­zione sulla scena della coscienza col­let­tiva con la dif­fu­sione della teo­ria del caos. Quando Inger Chri­sten­sen (già nel 1969) com­pone una lunga poe­sia secondo il modello delle serie di Fibo­nacci, si serve di un mezzo for­male, il cui grado di com­pe­ne­tra­zione e la bel­lezza di dispo­si­zione appare molto vicina a quello di un avan­zato pro­gramma informatico.

Spe­ri­men­tale allora non vuol dire scri­vere senza forma, ma con la coscienza che una forma è una forma ed essa influi­sce sull’esperimento della poe­sia. ‘Spe­ri­men­tale’ in que­sto senso signi­fica il con­tra­rio di arbi­tra­rietà, ossia è la chia­rezza for­male di primo e secondo grado: io (os)servo sia la forma che le con­di­zioni d’impiego.

Un con­cetto di forma che si pro­fila come recu­pero delle varianti desuete di strofa metro e rima non punta al luogo giu­sto, ossia là dove tra lin­guag­gio e corpo, nella ben nota frat­tura tra carne e parola, è situata la strut­tura interna o la figura della poe­sia – la sua bel­lezza, inquie­tu­dine, impal­pa­bi­lità. Qui risiede lo spe­ci­fico della poe­sia, la sua effet­tiva intra­du­ci­bi­lità, e già que­sto mostra che la forma viene uti­liz­zata non in oppo­si­zione ma come un con­cetto in rela­zione di cor­ri­spon­denza con il con­te­nuto. Non esi­ste nes­sun pen­siero indi­pen­dente dalla sua forma: l’uno senza l’altra sarebbe cieco, la seconda senza il primo sarebbe sorda.

I miceli e le forme alla Man­del­brot sono fluidi, non gerar­chici, auto­re­fe­ren­ziali e a rea­zione imme­diata. Sono impe­gna­tivi per­ché sol­le­vano una que­stione: insieme a loro si devono ela­bo­rare prima anche i cri­teri con i quali li si può giu­di­care. Sarebbe più veloce uti­liz­zare i ready made della tra­di­zione let­te­ra­ria. Inven­tare una forma costa ener­gia. Sco­prire una forma inven­tata e dar­sene una spie­ga­zione costa altret­tanto. Ter­ri­tori ine­splo­rati, com­ple­ta­mente inne­vati, ghiac­ciati e sci­vo­losi. Si bran­cola, si va tastoni. Solo in que­sta maniera si può tro­vare qual­cosa che ancora non si cono­sce. Colore, cri­stallo, bel­lezza nel ghiac­cio. Sol­tanto così, pro­ce­dendo a fatica nella neve bianca su un cam­mino bianco, che non c’è, e che sola­mente il cam­mino pro­duce, quello che vi appar­tiene si lascia tro­vare, quello di cui siete respon­sa­bili: voi stessi. Voi che venite incon­tro a voi stessi par­tendo dalla poesia.

La tra­di­zione lo sa bene, natu­ral­mente. Si deve ad ogni modo guar­dare oltre quello che è usuale, ossia vol­gere lo sguardo indie­tro verso i fon­da­menti del let­te­ra­rio: âven­tiure indica in medio-tedesco il rac­conto delle gesta degli eroi (e anti­e­roi), ma anche ciò che avviene a coloro che si met­tono in cam­mino per una via che nes­suno cono­sce. La parola, tra­dotta con una certa pro­prietà in “avven­tura”, svela nella sua radice latina (adve­nire) quello che conta vera­mente nelle caval­cate di un Lan­cil­lotto, di un Artù o di un Par­si­fal: lasciare che ci venga incon­tro un qual­cosa, di qua­lun­que genere sia: l’uomo sel­va­tico, il mago o il nano, il castello della dama, il drago o la disputa dei can­tori. Que­ste imprese, che sem­pre si rife­ri­scono alla dupli­cità dell’agire e del suo rac­conto, sono col­le­gate come âven­tiure a venire con l’avvento, cioè con un attesa sacra. Farsi venire incon­tro l’âven­tiure signi­fica esporsi al peri­colo di vivere. Un po’ come la scom­parsa per anni di Par­si­fal, che tra­sfor­mato in qual­cosa di coraz­zato, incas­sato in una arma­tura ver­mi­glia, si aggira muto sullo sfondo dell’Epos: un insetto kaf­kiano ante lit­te­ram. Lascia vivere all’eroe del momento Gal­vano le avven­ture del sesso, della ripro­du­zione e della estin­zione, della glo­ria, della nascita e della pro­te­zione, e rischia la per­dita di se stesso nel con­se­gui­mento del Graal, che signi­fica cono­scenza di Sé. E vi rimane bloc­cato fino a quando sco­pre l’âven­tiure di se stesso.

 

*

Que­sta poe­sia e que­ste pagine sono tratte dal volume “Rico­stru­zioni, Nuovi poeti a Ber­lino” a cura di The­re­sia Pram­mer, Schei­wil­ler 2011

 

*

Ulrike Drae­sner è nata a Monaco nel 1962, vive a Ber­lino dal 1996. Ha studiato

ger­ma­ni­stica, angli­stica, giu­ri­spu­denza e filo­so­fia presso le Uni­ver­sità di Monaco,

Oxford e Sala­manca. Dopo un inca­rico qua­drien­nale come assi­stente all’Università

di Monaco, ha con­se­guito un dot­to­rato di ricerca in studi medie­vali nel 1992.

Ha svolto atti­vità d’insegnamento, ma dal 1994 si dedica per intero all’attività

di scrit­tura, tra­du­zione e cri­tica letteraria.

 

La Drae­sner iden­ti­fica la forma poe­tica con il corpo stesso della poe­sia, che a sua volta si può rispec­chiare o riper­cuo­tere nel corpo ricet­tivo del lettore.

Ciò che conta è “sen­tire” la parola in tutte le sue pos­si­bili acce­zioni, l’approfondimento e l’espansione della pre­senza del corpo nella lin­gua: “Scap­pare dall’ordine – Fare spa­zio, fare un taglio: per spri­gio­nare tutto ciò che è nasco­sto, nell’ordine e per­sino nel disor­dine. Distil­lare la lin­gua del corpo”.

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