da damaskus, manöver
r t r n r t r n träumte
im hotel schwitzend
die laken plastik der boden
rtrn als man auf hügel
baute fest : die feste, ritteruine
das traurige wort. waffen
dem körper angepasst
wunderte (made in china)
das plastik sich wie es
diesen regen sah oder
spiegelte in seinen blanken
augen nur wider
wie die hand
junge knochen darin
sehnen nach dem stift
der so verlässlich
ach segelte (heiter,
geradezu)
wie unsere gesten verlässlich
weltweit: das lächeln, die
grundideen. kinder klicken
kugelschreiberknopf. wir
winkeln die hände dabei
nur auf unterschiedliche
weise an den körper
das fallende licht
||
cyanblau
leicht bedeckt von
sand. ameisen krochen kiefern
hinauf, kalk staubte
auf. im chamäleon lief
noch während sie fielen
die chemische reaktion
wechsel von erdbraun zu
gesprenkeltem rot mit
helleren stellen
sandig || fahl.
da damasco, manovra
r d c v r d c v sognava
sudando in albergo
le lenzuola plastica il pavimento
r d c v quando si costruiva su colline
solidamente: solido, il rudere dei cavalieri
la trista parola. armi
adattate al corpo
si meravigliò (made in china)
la plastica di come volò
in pezzi? si meravigliò il camaleonte
sulla sua roccia quando
vide questa pioggia o
semplicemente la specchiò
nei suoi occhi vuoti
come la mano
con dentro giovani ossa
legamenti dopo la biro
che affidabile
ahi – veleggiava (serena,
persino)
come i nostri gesti affidabili
su scala mondiale: il sorriso, le
idee di fondo. bambini cliccano
su penne biro. noi
incurviamo le mani
solo in modo diverso
sul corpo
la luce cadente
||
azzurro ciano
leggermente coperto da
sabbia. strisciavano formiche su per
mascelle, calce spolverizzava
in giro. nel camaleonte ancora
funzionava la reazione chimica
mentre cadevano
cambio da color terra a
rosso chiazzato con
zone più chiare
sabbioso || tenue.
(traduzione di Camilla Miglio)
bindegewebe
(ehegedicht)
dies kribbeln im bein diese sehnsucht
die weder sät noch erntet nur gehorcht
sich selbst gehört sie ganz zeugt
als gläubige als absolut als fall
die grammatik sich der knie. dort
liegen wir manchmal doch nur die
schnellen jungen simmernd in ihrem saft
verstehen die anfangschimäre der wahrheit
zu zeichnen: ein lächeln, unvorhergesehen.
ich bin ganz ohne sorge da auf dem knie
das nachts mit der matratze spricht und
sagt dies ist mein alter mein knochen mein
schutzschild bist du. man verdreht sich
nicht, man geht vorbei. man berührt und
dort ist das ende warm wie ein bahnhof
aus hosen und röcken und nächten
lang her getragen. dort murmelt etwas
wie liebe manchmal ist „dafür“ ein
„davor“, gehalten. dahinter wo der
zug fährt faltet die zukunft der anderen
sich auf – hier aber sind wir zusammen
auf knien im traum hier rührt uns
(nichts). zwei schwalben machten keinen
sommer? ha, heiter hebt sich das
bahnhofsdach.
mit dank an
rené char, crible
tessuto connettivo
(poesia matrimoniale)
questo formicolio nella gamba questo desiderio
che né semina né raccoglie soltanto ubbidisce
che aderisce a sé stesso si crea completamente
come credente come assoluto, genu-
flessione grammaticale. lì
di tanto in tanto ci stendiamo ma solo i
giovani rapiti cuocenti nel loro brodo
sanno tracciare la lettera iniziale della
verità: un sorriso, inaspettato.
sono senza preoccupazioni lì sul ginocchio
che di notte parla con il materasso e
dice questa è la mia età il mio osso il mio
scudo di difesa sei tu. non ci si
storce, si passa. si tocca e lì
la fine è calda come una stazione
di notti gonne e pantaloni portati
da tanto lontano. lì mormora qualcosa
come amore, a volte un “pertanto” è un
“davanti“, trattenuto. dietro dove il
treno parte l’avvenire degli altri si
riapre – qui però stiamo insieme
su ginocchia nel sogno qui non ci tocca
(niente). una rondine non faceva
primavera? ah, serenamente si alza
il tetto sopra la stazione.
un grazie a
rené char, crible
(traduzione di Thresia Prammer)
Ulrike Draesner, viaggio obliquo (poesie 1995-2009), a cura di Camilla Miglio e Theresia Prammer, S. Angelo in Formis, Lavieri, 2010
Le ore che con garza morbida…
Le ore che con garza morbida strinsero il telaio
del tuo sguardo, in cui sì volentieri fluttua un occhio
estraneo, daranno i trapiantatori, da sé, a te,
e si illumina ciò che il più luminoso supera:
il tempo ticchettando in atomi traduce l’estate
in un inverno più splendente, e là gli da fondo:
linfa, intirizzita nel frigorifero, membrane carnose
[avvizzite,
bellezza incrostata di gelo, nudità, ovunque:
non verrebbe allora il distillato dell’estate collocato,
prigioniero liquido tra pareti e gas,
fosse polverizzato il sacco amniotico della bellezza
[dalla bellezza
non rimarrebbe né lei, né il ricordo, di ciò, che fu.
Ma fluorescenze, estratte, protratte nell’inverno,
gettano, codice cellulare, linfa lattea, il futuro
[contro il vetro.
*
Da Twin Spin. Traduzioni radicali dai sonetti di Shakespeare
*
L’ Âventiure della forma
La forma è da sempre legata alla conoscenza. Soprattutto nei tre aspetti semantici della percezione, della osservazione e della sessualità. Tutti e tre sono (anche) atti corporei. La forma della poesia è il suo corpo, ed essa è ciò che agisce sul corpo di chi la riceve.
Anche la disposizione “micelica” delle parole che produce nodi e filamenti è forma. La “centralità” viene qui riconfigurata in un ordine complesso. Che tutto questo possa corrispondere in maniera sorprendente a quello che noi costantemente concordiamo stia a indicare la realtà, irrompe almeno come intuizione sulla scena della coscienza collettiva con la diffusione della teoria del caos. Quando Inger Christensen (già nel 1969) compone una lunga poesia secondo il modello delle serie di Fibonacci, si serve di un mezzo formale, il cui grado di compenetrazione e la bellezza di disposizione appare molto vicina a quello di un avanzato programma informatico.
Sperimentale allora non vuol dire scrivere senza forma, ma con la coscienza che una forma è una forma ed essa influisce sull’esperimento della poesia. ‘Sperimentale’ in questo senso significa il contrario di arbitrarietà, ossia è la chiarezza formale di primo e secondo grado: io (os)servo sia la forma che le condizioni d’impiego.
Un concetto di forma che si profila come recupero delle varianti desuete di strofa metro e rima non punta al luogo giusto, ossia là dove tra linguaggio e corpo, nella ben nota frattura tra carne e parola, è situata la struttura interna o la figura della poesia – la sua bellezza, inquietudine, impalpabilità. Qui risiede lo specifico della poesia, la sua effettiva intraducibilità, e già questo mostra che la forma viene utilizzata non in opposizione ma come un concetto in relazione di corrispondenza con il contenuto. Non esiste nessun pensiero indipendente dalla sua forma: l’uno senza l’altra sarebbe cieco, la seconda senza il primo sarebbe sorda.
I miceli e le forme alla Mandelbrot sono fluidi, non gerarchici, autoreferenziali e a reazione immediata. Sono impegnativi perché sollevano una questione: insieme a loro si devono elaborare prima anche i criteri con i quali li si può giudicare. Sarebbe più veloce utilizzare i ready made della tradizione letteraria. Inventare una forma costa energia. Scoprire una forma inventata e darsene una spiegazione costa altrettanto. Territori inesplorati, completamente innevati, ghiacciati e scivolosi. Si brancola, si va tastoni. Solo in questa maniera si può trovare qualcosa che ancora non si conosce. Colore, cristallo, bellezza nel ghiaccio. Soltanto così, procedendo a fatica nella neve bianca su un cammino bianco, che non c’è, e che solamente il cammino produce, quello che vi appartiene si lascia trovare, quello di cui siete responsabili: voi stessi. Voi che venite incontro a voi stessi partendo dalla poesia.
La tradizione lo sa bene, naturalmente. Si deve ad ogni modo guardare oltre quello che è usuale, ossia volgere lo sguardo indietro verso i fondamenti del letterario: âventiure indica in medio-tedesco il racconto delle gesta degli eroi (e antieroi), ma anche ciò che avviene a coloro che si mettono in cammino per una via che nessuno conosce. La parola, tradotta con una certa proprietà in “avventura”, svela nella sua radice latina (advenire) quello che conta veramente nelle cavalcate di un Lancillotto, di un Artù o di un Parsifal: lasciare che ci venga incontro un qualcosa, di qualunque genere sia: l’uomo selvatico, il mago o il nano, il castello della dama, il drago o la disputa dei cantori. Queste imprese, che sempre si riferiscono alla duplicità dell’agire e del suo racconto, sono collegate come âventiure a venire con l’avvento, cioè con un attesa sacra. Farsi venire incontro l’âventiure significa esporsi al pericolo di vivere. Un po’ come la scomparsa per anni di Parsifal, che trasformato in qualcosa di corazzato, incassato in una armatura vermiglia, si aggira muto sullo sfondo dell’Epos: un insetto kafkiano ante litteram. Lascia vivere all’eroe del momento Galvano le avventure del sesso, della riproduzione e della estinzione, della gloria, della nascita e della protezione, e rischia la perdita di se stesso nel conseguimento del Graal, che significa conoscenza di Sé. E vi rimane bloccato fino a quando scopre l’âventiure di se stesso.
*
Questa poesia e queste pagine sono tratte dal volume “Ricostruzioni, Nuovi poeti a Berlino” a cura di Theresia Prammer, Scheiwiller 2011
*
Ulrike Draesner è nata a Monaco nel 1962, vive a Berlino dal 1996. Ha studiato
germanistica, anglistica, giurispudenza e filosofia presso le Università di Monaco,
Oxford e Salamanca. Dopo un incarico quadriennale come assistente all’Università
di Monaco, ha conseguito un dottorato di ricerca in studi medievali nel 1992.
Ha svolto attività d’insegnamento, ma dal 1994 si dedica per intero all’attività
di scrittura, traduzione e critica letteraria.
La Draesner identifica la forma poetica con il corpo stesso della poesia, che a sua volta si può rispecchiare o ripercuotere nel corpo ricettivo del lettore.
Ciò che conta è “sentire” la parola in tutte le sue possibili accezioni, l’approfondimento e l’espansione della presenza del corpo nella lingua: “Scappare dall’ordine – Fare spazio, fare un taglio: per sprigionare tutto ciò che è nascosto, nell’ordine e persino nel disordine. Distillare la lingua del corpo”.