I
non sarà così diverso il destino di dopo
come oggi grigio e poco vento.
lo stesso filo per la roba ad asciugare
e un’ombra vaga di fumo
forse ancora dai camini. eterno novembre
o febbraio senza attesa. e la grazia, talvolta,
dei risorti alla primavera antica
con un tiepido colore di vendemmia.
un silenzio dei pesci fecondato dall’acqua
per il mistero lungo convesso alla parola
e del mai visto.
si piegano in danze familiari melodie
e col giunco d’ebano cuciono il pensiero
scivolandolo poi, e per sempre
nella quiete illesa del mare.
lì, il mantra dei millenni
lì, il segreto semplice alla porta
del rovesciamento esatto
né alcuna lingua scioglieranno.
II
se poi viene in coincidenza di soli
in balbettii di uccello e tuoni imprecisi d’aereo
di veglie precipitanti e sfatte
come il quadro sonoro che ritorna
del cimitero, del venerdì santo che la nuvola solleva. dove
l’umanità è appesa con lo stesso morso
a ogni latitudine. appesi ai cipressi, ai nomi, alle date
all’illusione della freccia che scortica l’albero.
che nessuno sa se non in rigurgito
sonnolento o leggendario di vocali, polvere
caduta alla terra di unghie rosicchiate.
tu e io siamo così capaci e invisibili all’amore
che lì tutto ci sarà familiare e scoperto
e avremo ogni tempo, ogni anno finalmente
ogni principio di novecento
III
né linea più fedele all’orizzonte.
il palmo stellare preme il muro
sui secoli di pietra. striscia la lucertola
le lancette dell’Immobile Afono
l’eterno movimento che conosce.
tutti riavvolti i respiri degli animali.
i muri d’oriente appiccicano i nomi
gli anni le storie gli attrezzi i vestiti
sui muri gialli presi ostaggi che il sole
avrà. il ferro alla terrazza
il geranio orfano d’aria puntato
alla domanda scomposta del gatto
uno scalcio d’amnio innaturale
attutito da altri mondi in mezzo
dal silenzio pieno che verrà.
tutto resiste al sinistro rombo di vento
venturo. la colomba appollaiata in cielo
l’ultimo sorriso la cenere bianca
l’ultima sillaba gracchiata sul marmo.
Eterea
Che non mi si doveva dare un nome
né rispolverare memorie fossili di uomo
Che non mi si doveva vedere
la seconda volta
con la stessa faccia
né riconoscere cercare ricordare
Che dell’insostanza dell’aria
che della sua leggerezza
che di vento
e di ballerine fumanti
sollevate
su alito di sigaretta
a volteggiare
Che di scirocco di cui non si abbisogna
che di gas non di fuoco
che di nebbia
che di vuoto d’acqua
e di terra e di respiro sospeso
Destino al mercato
È la normalità in tutù che arriva
leggera e fiera
che m’impallidisce e mi cava denti sani
ciglia robuste e fitte
per vendermi al mercato
per rendermi gradevole
sul banco della frutta
rosa di pesca tondo di mela
più e più della bellezza che si spera
più e più del rosso di sera
per questo lupi aspettano nel bosco
per questo donne sperano nell’osso
bimba di audace sorriso
strozzalo nel seno l’ingombrante destino
nell’urna di chiavi e vecchie lire di madre
o sotto piante di piedi come salsa d’estate.
Belle queste poesie. Sono inedite?
Antonio Torre
le prime tre fanno parte del libro: “Del pesce e dell’acquario”, Lietocolle 2009. Le ultime due da “D’indolenti dipendenze”, Besa 2005. Grazie!
Buon fine settimana
Antonio B.
Grazie.
Ilaria
Grazie a te mia cara
Un beso
Antonio 🙂