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Sorriso cereale, sguardo che malto
e frumento d’abbraccio, avena
che si spera cresca in fretta;
l’uva passa ma non la raccolta
la frutta secca d’ogni stagione.
Questo è il guscio che protegge:
la noce schiusa ad arco, la spada
di farro che l’incudine lenticchia
ma lenticchia così tanto che fagioli
e fagioli a pioggia, si spera con la crusca
tormenta di pane raffermo che fredda
cuore di piselli, temporale a cucinare
orzo di pensieri, mentre parole leguminano
idee ceci senza dolore: fave nel tempo,
granoturco della mente, minestre di voci.
Nel gran calderone dell’occhio integrale
la fibra nascosta della vista dove semina
la pupilla la terra del mondo, la ricrescita
questa la ricetta: due chicchi di sorpresa
e farina a lievitare, la massa dell’infinito.
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Di una spada la carota
è la paziente arancio lama:
divide in due la vista, la trama
della fame, come anche la cipolla
viola, tremulare nell’occhio tegame
il vortice del sedano, l’arco verde
vegetale, indicando il brodo a valle
il fiume rosso, uno specchio d’osso
mestola alla verza, color minerale
bianco riso a cuocere, linfa che ribolle.
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La castagna insegna
al tronco nella veglia
la soglia dell’incanto
l’avvento della foglia
la voglia che è nel vento.
Così cresce lo spavento:
nella magia della betulla
il porcospino si trastulla
sulla guglia s’ingarbuglia
alla figlia della cicogna.
Così niente più si agogna:
ché poi solo si bisogna
d’una morbida famiglia
d’aghi, pini e un parapiglia
di massi e dossi; paradossi
naturali, la verde meraviglia.
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Proprio fragola diventa
notte di bocca, magenta
che cambia, riposando labbro
ciliegio del bacio, sambuco
d’odore, fragore di neve.
Amarena che scatena
nella vena dell’amore
germoglio di rosa, lucore
di casa, amido del sapore
tornando a crescere, sapere.
Pioggia di mandorle, croccante
cadendo gocciole d’arachide
la nocciola epidermide, crusca
corpo integrale, finestra d’orzo
da cui chicco sporgo, melograno.
*
Mi sei pompelmo nello
sterno, fragranza gialla
mandarina scoperta
di sapere la foglia
ancor prima che menta.
Questa la freschezza:
papilla clorofilla, rugiada
nella pupilla, cuore rosa
stelo di posa, cadavere
pesca, verde orchestra.
Allora guscio ritornando
nell’incavo puro albicocco
scavo nella buccia, miccia
che ruvida, di cocco sorriso
indecisa segreta, fiore di loto.
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Preme. L’arancia del giorno
che spicchia, fibranza solare
al vegetare di rivolta assapora
nel gusto la mescola, vitamina.
Come risale al bicchiere vivo
faticando l’ascendere, il grumo
come un dubbio: se essere acido
o il nocciolo, la citrica questione.
Ma la polpa è il desiderio acceso
erosione del tramonto al liquido
nel bianco del dorso sbucciando
la patria perduta, scorza d’olanda.
*
Colpa la tua polpa
solida, anche arida
gravida la scorza
che smorza la storica
sapida credenza:
l’arancia che frangia
la pancia in crescenza.
*
Pane che possibile
granoturco arido
diventando contorno
zuppa commestibile
nell’avido ritorno:
fragranza di sostanza
appetibile frastorno
di sapere la creanza
nella povertà del rorido
sapore che sentenzia.
Da “Ricettario delle cose perdute”, 2012.