Simona Menicocci – Poesie scelte –

 

 

attacchi non solo figurine non sono
solo teste o primi piani di carta
che se si può, staccarle con una furia
più salda, saltano. sugli elmetti opachi,
(la sterpaglia è da tagliare)
il lembo del cappuccio, l’adesivo secco,
tanti fili che fanno corda,
con anche le notti da fasciare.

rimpolpati di colla, di garza
gli zaini, gli arazzi, a ovest
del meridiano che dice il centro,
(le fobie non prendono aria).

puoi saccheggiare le faglie,
chiamarle placche,
(le rive disegnate si muoveranno).

Il dentista saccheggia la bocca
ti toglie la zolla, non può darti
che fori.

 *

vertebrati che zampillano, vuoti
a fendere il filatoio, la stempiatura,
sorsata che porta via
gli angoli flessi, ché si dondola
da tutti i lati del letto, del fianco,
le stupidaggini dei tetti
non finiti, non si vedono,
non si vende la casa anche dopo
che va via un’anta cigolante,
se non serve, svapora
anche l’alito cattivo,
svilito, ad allagare
centinaia di secchi blu,
quelli slavati dall’ammoniaca.

la settimana e la vendemmia ritardata
assieme alla patologia, anziana
andata via, anzi, troppo tardi
la dignità, la diffida,
l’andare poi
quel giorno se viene, prima
dello svenimento alla clinica,
la siringa, la postilla al testamento,
ringhiare fermi all’eventualità,
il tremolio della mente, lo scudiscio.

Resterà la squama, l’orologio, la risata.

 *

non entra
nei cicli, nei canali del cestello
catodico, a rimuovere
il ricordo, l’ovvio, lo sgomento
non verbalizzati.

le rimanenze sui podi
a rendere, beneplacito
a sedere e rimanere
per riparlare, balbettio
riarmo polmonare e fiato
che sia fatto.

e girano i cucchiaini di caffè
girano e perdono il centro
gradatamente e finiscono.

Fanno fine, qualcosa che viene
schiacciata in un punto.

 

 

***

le conseguenze sono a vista d’occhio
il bacino spostato o le rotule oltre l’asse
(sistematica decostruzione ossea
attuata con scientifica accuratezza).

un ciuffo, uno
solo separa
almeno novemila
chiusure della palpebra,
i contorni ammorbanti dei conti
che non tornano, come tutto il resto.

Trova la patologia che spieghi
e stai storto poi col vocabolario,
reggi le scapole ancora un po’.

***

va e non viene, va
né il treno e la salita,
fatiche riproposte, fare posto
dopo la deglutizione,
faccia a faccia con le farine
le panature delle dita, i palmi.

prendi adesso questo flesso,
(il gorgoglio vacante) e vai.

va poi fino alla fine la polemica
la mollica sciapa, il ciarpame,
pretendere a rischio a dopo
caso mai vadano via, alla fine,
i contratti, le rifiniture, gli zittiti.

***

in tutte le bocche dei lupi
i baci di saluto gli àuguri che sentono
le sentinelle che si avvicinano
a volumi a stanziarsi dove
lo strato permette, il mirino
la messa del fuoco a straziare
le messi, sentire che dove
si assetano si stagliano le frecce
le facce rosse delle mire
colpire non a caso, fare caso
alle sbavature, le mietiture
delle bocche, i lamponi
marci, marciando a fil di pelle
i peli che piegano l’andatura
del vento, i piedi che pregano
coi lampioni sbarrati
– fare piano, sparire –
lo scoppio dell’ultimo spavento
dove batte il ventre mentre si entra
a non chiedere scusa
usando il bossolo e la bocca
a trangugiare ferite sgranate
lucciole che abboccano e spengono.

***

alle cose alle stesse
qualcosa in quanto qualcosa
nel mondo nel non del mondo
e stare fuori e stasi. Emerge
senza niente attorno
uno stare perso, ciò che era là
era già là, raro nell’esserci
un “tra”.

***

a pungolare il caso
il mai detto, il tanto
a rifare la conta
(quello che poi
le cuticole rialzate
non sanno),
il gioco dello stare
– se ci si riesce –
ad allontanare l’andare
a finire sui groppi
(che poi non servono
le mani ferme),
a tenere i punti, le serrature,
si accumula il continua,
l’antipolvere sullo straccio
(poi proprio quello
che rifà i bordi),
le screpolature dei forse
con le montature
da cambiare, ogni passo
a proiettare meglio.

 

***

spremono falci e croci e martelli e fiamme –
premono – prenderanno – credendoti codice a barre –
numero e non parola – numero e non parola –
chiedono acqua e chiodi e chiedono – ti tolgono –
taglieranno – in parti uguali – le leggi – che violano –
volendosi – primi padroni – di patrimoni – di patrie –
pietose. – primi – prima di porsi il dubbio –
modellando la domanda – la faranno – prima –
risponderanno – ultimi – prima di ultimare –
la sentenza – le sequenze incrociate – scorci di verità –
contraffazioni – falsificandosi – contraddicendoci.

ci basteranno, bastandoci i bastoni sulle tibie dei no
più nudi per calcolare lo scarto, la risultante
per dire ennesime afonie.

ancora più inconsistenti – rincorrendoci – nelle gabbie –
ricurve – rinneghiamo – pasti lenti – passi falsi –
sulle passerelle disertate – vetrine – grembi –
da vendere – biasimandoci – con le camicie larghe.

Non vedendo. a tastoni a tamponare gli spigoli,
i contorni, il fenomeno aguzzo, i fili
che ancora tirano, tirano fuori
ma dentro, entrano dentro.

***

stanno morendo – le piante – muoiono o no? – tanti
a tonfi – attorno – ritornano o no? – pochi – parchi –
a chiazze – nelle piazze del mercato – i giorni pari –
i giorni dispari – la faccia tremebonda – quando non si ha
e non si hanno – soldi non solo sogni – per chi ha cose –
le cose da fare – le cose che restano e tornano domani –
da fare per essere fatte – o anche – per dire di averle –
fatte per dircelo che non – muoiono e muovono la mucosa –
della parte cava – dalla parte giusta – dall’alto verso –
attraverso il naso – lo spazio provvisorio per poca umidità –
la sinusite che soffia – soffri – gli olezzi – i profumi –
per abituarsi – la puzza nelle piazze del mercato –
anche la domenica, a cercare gli scarti – ti svegli tardi –
la domenica, ti attardi. –

Il frigo è pieno.

***

lenta la guerra finta, abituata
la foto che fa la folla, gli scatti,
follie a scatti esigui, degli indici
dietro il campanile che suona
il tuono, copre il colpo col suono.

è solo caduta, solo la dimenticanza,
(un segno diverso che va schivato)
ieri era un anno fa, era poco fa
che faceva paura e fa ancora.

ancoràti alle lancette, mèmori
hanno album, i catini sotto il mento
senza spazzole per le macchie,
lordure, schifarle come
chiamarle? farle, tanto le fanno
come i bambini, a giocare col fango
di uranio impoverito.

Non storcere il naso:
è pronto da mangiare.

***

l’essere nel suo farsi interrogativo
punto d’arresto, posto di blocco, pausa di retaggi.

arretri, fai spazio alla risposta,
spazio tolto al passo, perimetro
aperto dal contorno che arretra.
non fai sagoma né profilo, fai sgarro,
lembo sghembo, da ambo i lati buio
labbro scaduto a caccia di precetti,
detti dal primo, prima di te,
prima che dica: cadi.

Fare gruppo, doppia fila
(cadono, a poco a poco cadono).

***

che poi il tempo conta
ora, solo ora che è passato
come nulla passa, come
tutto resta indietro solo
ora che c’è il rendersi
conto, l’altro spazio, tic tac
tocchi, tatti, tanto non serve
ora che è, non è ieri
e tanti spazi in mezzo
che non conta arrendersi
se si è stati anche oggi
con lo spazio e tutto il da
riempire, i liquidi, il riempitivo,
l’oramai
e dirlo con la ruga.

 

 

Simona Menicocci è nata il 09/03/1985, vive e studia a Roma. Laureanda in Lettere, sta preparando una tesi di Letteratura italiana contemporanea sul Tiresia di Giuliano Mesa. Suoi testi sono stati pubblicati su: «Poetarum silva», «Pi Greco. Trimestrale di conversazioni poetiche» e «Nazione Indiana». Alcuni dei testi qui presentati fanno parte della raccolta Incidenti e Provvisori uscita presso le edizioni de La Camera Verde.

 

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