3 poesie di Mariangela Guàtteri – Stati di Assedio – Vincitore premio Lorenzo Montano 2012 – Ed. Anterem

 

 

 

da [Neurosi I]

 

<Atti e invocazioni>

 

ho paura e non so cosa sono

ché un barlume una luce ambientale

mi separa

e divido le cose per questo

 

una protesi del niente

che si lascia andare

ortopedia assemblata

in abbandono a distanza

 

ancòra

 

la paura mi rende un nulla

ma dite soltanto una parola

e io sarò salvato

 

(resti sempre con me la vostra divina grazia

col corpo col sangue)

 

la paura mi aizza come un cane

dal nemico maligno difendetemi

nell’ora della morte chiamatemi

 

(usatemi misericordia e concedetemi le grazie

che sono necessarie per la mia salute)

 

la paura mi conduce al peccato

col vostro corpo salvatemi

col vostro sangue inebriatemi

 

(lasciatemi in vostra adorazione mio creatore

sovrano padrone unico mio bene)

 

 

da [Neurosi II]

 

<Edge of existence>

 

la carne si corrompe

(la vita è in se stessa corruzione)

nell’eterno disfarsi

in procinto di un essere anima

in procinto soltanto

in eterno                         in corruzione

 

tocca lo scheletro del senso

una fitta d’aria                       una condensa

nell’estensione senza connotati

(un resto di qualcosa)

cerca un intimo contatto

un’apertura

una divaricazione del divino

 

una speranza                         un desiderio

un gioco di contagio

 

e allora inizia a vagliare

e si sente che ha: piani di confine

(con l’esterno)

e punti di osmosi

(uno scambio perpetuo)

un soffiare di visioni

un tatto che apre una sorta di carne

(stimando dei pori)

a trovare dei varchi

 

e si scalda e dilata i volumi

si apre

 

coltiva il delirio del tocco

lo stile di mano

gli sfiati

 

(un umore lo bagna sui fiordi)

si entra                          si spinge in un fondo

aderisce a quel buco con parti

(che sono se stesso)

 

la palpa                               le muove

le gonfia                              risale

 

si sente                               si azzarda più dentro

realizza un piacere

 

è come un morire profondo

il confine di ciò che si assenta

un’acqua che prende la forma

poi si stende e ritorna

 

rinviene

 

 

da [Neurosi III]

 

<Terzo Assedio>

 

 

lo spazio confinato

tra corpi residuali

termina orizzonti

viene accumulato

 

uno stato in eterno ripetuto

nel perimetro d’assedio di un’insonnia

si concentra            si ammala di dolore

riconversione del tempo in ossessione

 

un’intolleranza

 

[la geometria del dolore rifila

e impianta dei punti dove prende spinta

e aumenta

la rifrazione dei colpi di sponda

fino alla buca del punto di un gioco

che azzera

e vince chi muore per primo]

 

 

3 poesie  da “Stati di Assedio”

di Mariangela Guàtteri

silloge vincitrice della xxv edizione

del premio ” Lorenzo Montano” (Anterem Edizioni).

 

 

RIFLESSIONE CRITICA DI FEDERICO FEDERICI

INCLUSA NEL LIBRO

 

Le tre Neurosi in Stati di Assedio sono altrettante ferite profonde inferte alla materia viva del testo, fitte di dolorose suture, punti intrecciati in una grande allegoria di linguaggi nel tentativo di sancire una volta per tutte la realtà attraverso la sua rappresentazione (<Il potere>, <Hardcore pornography>), l’essere oltre il continuo disfacimento e ricomposizione dei corpi (<Edge of Existence>, <Mimetica>), Dio nella sua più dolorosa invocazione (<Passioni>, <Atti e invocazioni>).
La scrittura è soffusa di codici, segni diversi combinati a ricostruirsi un senso nell’ambiguità. Così è per il latino della Passione mescolato al rigore di una cartella clinica, per i riferimenti diagnostici («X sulle cose (irradiazioni)// e allora solo ossa/ [uno stato pulito]») accostati al backup di una macchina sull’orlo del reset («un accesso immediato/ si trasmette l’esistente// [si comunica]/ si salva»), per la solitudine colma di autorità nel cybersex masochistico («[intanto qualcuno provvede a infilare qualcosa tra le altre piaghe/ (usa le dita in funzione precisa/ del divaricatore)]», «{dichiara la resa/ voltando la schiena a una luce/ {tieni posizione di un cane che si stira/ {prendilo nel corpo/ (qualsiasi cosa impropria)/ senza fare resistenza», «ferite che sono già di nessuno/ le pratica ognuna in un turno/ in un gioco di carne») che rielabora alcuni tòpoi della sottomissione religiosa e del delirio mistico («così mostro il seno/ dove fui rinchiuso/ (per il tempo di un seme)/ e rimango aperto/ […] un tipo di comando/ un emblema/ […] una protesi servente// un meccano semovente/ […] un oggetto del piacere/ un artiglio// un germoglio/ [una punta per sbuzzare]/ ave maria/ che mi sei davanti// col torace intatto/ […] corpo raccolto/ nelle tue piaghe/ nascondimi/ da questa polvere// […] un desiderio ardente/ così sia// in orazione sempre/ a un sole che non muove»).
L’automa compenetra il corpo dell’Uomo,l’oggetto animato diviene protesi di quello inanimato, in un continuo morphing creatura-cosa-creatura: «una protesi del niente/ che si lascia andare/ ortopedia assemblata», «fa un gesto al cielo/ e il fiore di paura che ha nel ventre/ scoppia in un dolore// [si dissangua]», «[un osso di cane, una zampa]/ [un’ascia di guerra-zampa di cane]», «la mano orientale aiuta/ si trasforma in cosa da guerra/ [Luger Parabellum P 08]/ la infila nel buco// [quello che lo nutre]// e spara». Il principio darwiniano è sostituito da quelli casuali di una logica impazzita, quasi un codice genetico modificato, che regola il calcolo proposizionale/evolutivo secondo un’approssimativa tavola di verità. Questa idea riflette precisamente la conditio humana, in cui l’identità è distribuita, frammentata in istanze di cloud computing prima di ricomporsi in ego, e l’imprevisto è un dato incalcolabile per Natura, un margine di incertezza tra le pieghe di un modello statistico, probabilmente fuzzy. Tutto ciò che non può essere trascritto in un linguaggio «[…] si sgrana// tra un battito di mani/ un rumore bianco/ un inno», vibra nella dislocazione non deterministica delle sue parti, una maceria, un dolore che vale per sé come malessere del corpo e non su scala elementare.
L’impasto dei codici forgia una matrice linguistica pregnante, che riproduce nel testo la figura e le dinamiche di quello strato «percettivo che organizza/ i dati» in una complessa rete neurale, le cui terminazioni hanno carattere periferico e informano il corpo e il mondo l’uno dell’altro. Alcuni termini agiscono da tag, declinati in formule di rito dal carattere straniante, attrattori, cortocircuiti dall’esito imprevisto: salvare, assemblare, modulo, riconvertire, stato corrotto, accesso, contagio, funzione, somma, prodotto, negazione, innesco, iterazione, memoria, propagazione, conflitto interno, dominio, segnale, dimensione, punto, scansione.
La dialettica tra programmazione, scrittura di ricerca e poesia è risolta in favore di quest’ultima, adottando un’impalcatura informatica/formale entro la quale condurre però il fiato della parola ispirata, accettando la sfida di installare la poesia nel cuore della macchina, negli interstizi del suo linguaggio, tra i segnacoli di una metrica diversa, come pompare sangue in circuiti di corrente, sostituire al carattere ‘elementare’ dell’elettrone la ‘complessità’ della molecola.
A differenza della percezione poetica di porzioni informatizzate di testo (perl poetry), o di open source contest, nati con l’intenzione di scrivere in frammenti di codice (readableportableexecutable) la poesia e il suo farsi altro da sé nel mondo (poem-software), Stati d’assedio occupa strutture vuote, ne sfrutta la versatilità senza far riferimento a un linguaggio particolare, moltiplica segni di codici diversi in cerca dell’occasione che fa la poesia. È come se un task manager fosse improvvisamente attivato dalla parola, indicando processi virali, thread latenti all’interpretazione, altre istanze il cui arresto porterebbe a un crash di sistema o a permanente instabilità. Per questo i sottintesi del testo rimandano a link ipertestuali, a file nascosti con astuti meccanismi di rimozione/rinominazione. La varietà dei segni indica, oltre la sintassi dell’algoritmo, il continuo processo di rottura/adattamento dello schema logico-formale di fronte a quello irrazionale-informale dell’istinto poetico. L’uso di parentesi è sistematico: le quadre racchiudono commenti, frammenti di codice saltato; le tonde risultati temporanei o istruzioni di controllo; le graffe sequenze di comandi (il modo usato è sempre imperativo); le acute richiamano altre parti, nominano un altrove. Non è un caso che, nel C ad esempio, l’inclusione di librerie avvenga alla prima linea del listato attraverso il comando #include <name>  .
Le Neurosi sono allora tre segmenti di un unico programma articolato in routine, veri e propri code-verse annidati nel corpo del testo. Una formula rituale d’apertura le segnala, un leader standard di inizializzazione. La routine di output è ovunque denominata <assedio> e numerata con indice crescente. La gerarchia prevede che i primi due segmenti lavorino in parallelo, restituendo l’output al terzo (I->III: «riconversione del tempo in dolore// un’intolleranza»; II->III: «riconversione del tempo in coazione// un’intolleranza»), che lo eredita ed elabora in un loop privo di break o return, aprendo il tempo di calcolo al mistero dell’eternità («uno stato in eterno ripetuto/ nel perimetro d’assedio di un’insonnia»), non producendo altro risultato che un’ossessiva attesa (III->infinito: «riconversione del tempo in ossessione// un’intolleranza»). Così è l’Universo, un gigantesco loop interminabile che modifica i suoi microstati, una catena di input-output annidati senza sbocco, come un codice che scriva dentro sé altri frammenti, senza un terminale esterno che li sveli – a cosa poi? A chi? È la chiusura più perfetta di un alfabeto nella propria algebra di cui ad oggi si ha notizia. EOF.

Federico Federici

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