Antonio Bux -La simmetria dei nomi-

 

 

DALLA SEZIONE I

 

FISICA DEL TEMPO

(LA CICLICITÀ DEL POLINOMIO)

 

LATO X

 

***

 

Nell’avvicinarci all’origine ripartiamo

dalla fine riavvolgendo ogni sguardo

 

ciascun nome e tutti i discorsi pronunciati,

ché rimane poco e molto nel limitarsi a vuoto

 

finanche le persone care sono specchi

che riflettono altri noi, al di là del vetro.

 

***

 

[chiuso al nome]

nel chiamarsi e non rispondere

 

l’essere poco attento ai giorni

all’importanza del quotidiano

 

nell’assistersi dal di dentro

-per non venirne fuori-

 

come dal vuoto profondo

della malattia degli anni

 

che attorno cresce

come un batterio lento

 

nel cuore d’ogni uomo stanco

d’esser nome che si chiama solo.

 

LATO Y

 

***

 

Ricordo appena cosa fosse

la terra ritornando a casa

 

di notte, a piedi nudi ripetendo

il vuoto della tua futura presenza

 

quando le orme mi precedevano

e tracciavano sentieri interminabili

stando al passo della mia assenza.

 

Mi dicevo -è quasi finita- ma poi

arrivava un altro sole a svegliarmi.

 

E col sole ritornavano le ombre

delle cose rimaneva solo il vuoto

 

gli oggetti manomessi dai tuoi gesti

-non si trovavano mai al loro posto-

 

i ricordi, fra la polvere e i nostri nomi.

 

***

 

Conoscere il martirio

d’esser niente e tutto:

 

e rivedere il proprio doppio nell’andare

leggero come la morte di un impiccato

 

indietro o incontro al proprio malaffare

che ripercorre un vuoto d’ombra sciolta

 

come un vento che si rigira nella foglia

-foglia che ritorna nell’altezza a disperdersi-

 

che si è soli nel degradante mistero

di sapere l’oltre andando oltre dentro

 

nell’amarezza di un sepolcro eretto sul niente

che scompone la luce d’un pregare narcolettico

 

dove non rimane che pietra nel sangue fermo

e negli sguardi solo quella sentenza distante.

 

DALLA SEZIONE II

 

LE GEOMETRIE DEI LUOGHI

(CRONACHE ISOMORFICHE)

 

LATO X

 

***

 

È un amaro sole alla quiete lontana

che disegna il vuoto del profilo

 

-non c’è pace in vita- non c’è

ritorno dalla penombra alla volta

 

di luce racchiusa all’indietro

nascosta alla propria memoria;

 

anche il nero è sbiadito fuori

dalla geometria delle tenebre

 

dove l’addio di ciascun moto

è silenzio nell’andare nell’oblio

 

come il foglio carcere invisibile

di un esilio senza condanna.

 

***

 

Fotogrammi su tutti

gli angoli della casa.

 

Muri colorati d’epoche,

storie cucite alle tende.

 

Nomi riscritti a memoria

sulla carta da parati del tempo.

 

Una casa non è quattro mura

ma solo riciclo, tepore umano.

 

Una casa è clausura

di vita, sepoltura

 

dell’antico arcano, fossile

del milite urbano.

 

LATO Y

 

***

 

Di me stesso rappresento

la comparsa, nella stanza

 

vuotata  da un presente fermo

su quel me che ho appeso ai muri.

 

Tutto è nuovo da troppo tempo

nuovi i nomi, e la casa che trasmette

 

ricordi attraverso i colori (e tu non dici

più niente di quel fratello fatto a pezzi).

 

Siamo calce che si mischia all’acqua ragia

di un’esistenza solo in parte ricoperta

 

dal bianco del mondo che più non scolora

il nero della scrittura, nel grigio di sottofondo.

 

***

 

Mai diventiamo troppo bambini

se non nella pausa pranzo

quando ci tiriamo addosso

 

tutti i resti del risotto, e ridiamo

senza coltelli tra i denti; cosi

freddamente  torniamo poi

 

a cucinarci il cuore, tra un caffè

e un malumore, senza zucchero

in tutta la fretta di tornare a lavorare.

 

DALLA SEZIONE III

 

DALL’INFLESSIONE ALL’INCLUSIONE

(DISTANZA DAL SOGGETTO)

 

LATO X

 

***

 

Non si cerca l’oscurità nello scrivere

ché l’autore non esiste né il suo intento

 

ma l’esito è altro che una luce schiusa

da qualcosa che ci visita deformando

 

il sublime specchio della voce invocare

la fatica oscura delle nude pagine quando

 

la mente annullata dal rappresentarsi s’apre

e solo sa delle cose quella superficie fragile.

 

***

 

Li si vede crescere attorno

i giganti nel vuoto d’ombra

 

lenti riflessi di una già remota

indicazione di un non essere

 

più lunghi del tempo indietro

da un opposto angolo di cielo

 

-argini di una proiezione d’aria-

che costringe il sogno al vero

 

mentre l’essere riforma il corpo

dall’invisibile sostanza del pensiero.

 

LATO Y

 

***

 

Oltre il vetro non vedo più il corpo

come la mano sparita nel riflesso

 

dell’abisso che proporziona una forma,

così anche gli occhi svuotati rompono

 

nello sguardo che divide materia e nulla

mentre congiunge lo spazio nell’intuizione

 

l’armonia d’una sagoma volta al vuoto

nel taglio netto che unisce buio e luce.

 

***

 

Come si perde tutto nell’anonimo

disperato disincanto dell’amorfo

nauseabondo vischio di parole,

 

che tutto si consuma vagabondo

in celeste putrido consenso d’ali

rotte nel volo maestro dell’aquila;

 

e anche l’entusiasmo di un pantano

si sente gorgogliare nell’imbrattato

momento dell’edificazione comune,

 

e tu che chiami distanza la tua vita

il viale fresco sulle case morte a noi

come immagine corrosa che circonda:

 

questo specchio inondato di speranze

quanto il gelo più s’accende di stupore

e la città sobbalza ancora un momento

 

vibrando in una piaga lontana di confine

da ogni spazio che non ritorna mai il segno

come da ogni limite una fossa nel giudizio.

 

 

poesie di Antonio Bux

da “La simmetria dei nomi”.

Tutti i diritti riservati.

 

Immagine di Laurent Fiévre.

Tutti i diritti riservati.

 

 

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